Un santo per il nostro tempo che ci obbliga a pensare come essere i cristiani oggi
Lo sparo che il 1° dicembre del 1916 squarcia la notte di Tamanrasset nel Sahara viene da un fucile italiano ed è solo una lontana eco del fragore di guerra che sta sconvolgendo l’Europa. È il primo venerdì del mese dedicato da tradizione alla memoria del Sacro Cuore...
Lo sparo che il 1° dicembre del 1916 squarcia la notte di Tamanrasset nel Sahara viene da un fucile italiano ed è solo una lontana eco del fragore di guerra che sta sconvolgendo l’Europa. È il primo venerdì del mese dedicato da tradizione alla memoria del Sacro Cuore e a cadere a terra senza vita è un uomo che ha voluto fare di quel cuore la sua ispirazione.
I musulmani del luogo lo chiamano marabutto, l’uomo di Dio. Era arrivato lì, senza chiedere nulla. La sua vocazione, silenziosa come solo i passi di Dio sanno essere, era quella di seminare la tenerezza del Vangelo. Quella sera, un gruppo di predoni era arrivato di nascosto vicino alla sua povera dimora. Con l’inganno si erano fatti aprire. Poi gli avevano legato le mani dietro la schiena. Lui si era inginocchiato pregando fino a quando un colpo ravvicinato al capo metteva fine alla sua vita.
Il 15 maggio prossimo la Chiesa proclamerà al mondo la santità del visconte Carlo de Foucauld. San Giovanni Paolo II ebbe a dire che sono stati due i santi che hanno indicato la strada nel XX secolo. Madre Teresa di Calcutta per la carità, e Carlo de Foucauld per il radicalismo evangelico.
Non è semplice raccontare chi è stato questo uomo. La sua è una storia che, da sola, si presterebbe a far da copione per la trama di un film. Era nato il 15 settembre del 1858 a Strasburgo, in Francia, da una famiglia aristocratica. Rimasto orfano a sei anni, viene allevato dal nonno, insieme alla sorella Maria. L’adolescenza lo porterà, di eccesso in eccesso, lontano dalla fede. Già a quattordici anni si proclama ateo. Scriverà di se stesso, ricordando quegli anni: “A diciassette anni ero solo egoismo, vanità, empietà, desiderio del male, ero come fuori di me”.
Ben presto si arruola nell’esercito e viene mandato in Algeria, allora colonia francese dove da tempo ci sono fermenti di guerra per emanciparsi dai colonizzatori. Si fa notare per le qualità di soldato ma anche per le intemperanze e lo stile immorale della sua vita. Viene espulso dall’esercito. Sotto le mentite vesti di rabbino, rischiando più volte la vita, inizia l’esplorazione del Marocco, di cui farà una cartografia di grande valore scientifico. È colpito dalla fede dei musulmani e, più volte, pensa di convertirsi alla loro religione. È l’inquietudine spirituale che comincia a bussare alla sua porta. Rientra in Francia per ricevere la medaglia d’oro dalla Societé de Geographie. Entra in varie chiese, ripetendo dentro di sé: «Mio Dio, se esisti, fa che ti conosca». È un uggioso giorno di ottobre del 1886 quando entra, a Parigi, nella chiesa di Sant’Agostino. Chiede al prete, l’abate Huvelin, di parlare un po’. Questi gli risponde lapidario: «Non hai bisogno di parlare. Inginocchiati e confessati». Scriverà poi, ricordando quel momento: “Non appena ho creduto che c’era un Dio, ho capito che non potevo far altro che vivere per Lui”.
Inizia da lì l’avventura di questo gigante della fede, vissuta nel nascondimento più totale. La sua ispirazione fu quella di vivere come fece Gesù, per 30 anni a Nazareth, dove il Maestro rivelò, nel silenzio di una vita d’amore, la tenerezza di Dio. Nessun clamore, nessuna omelia, nessuna organizzazione… Pregare e amare… perché Nazareth è annunciare il Vangelo con la sola presenza. Un messaggio potente per quanti, spesso creandosi l’alibi per il disimpegno, pensano che la fede cristiana si esprima nel perimetro della parrocchia, intesa come organizzazione. Che potrebbe diventare perfino una tentazione se solo si immaginassero strategie di “mercato”, per arruolare nuovi clienti.
Carlo de Foucauld ci indica un modo di vivere la fede che affascina e interroga, lontano dal potere e dalle logiche del mondo, ma capace di attrarre per la sua esemplarità.
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