Il Fatto di Bruno Fasani
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Quella violenza giovanile che chiede risposte differenti

La violenza è entrata nelle tasche degli adolescenti, ma prima ancora nella loro coscienza. In una città, di cui non faccio il nome, dall’inizio dell’anno sono state sequestrate, a minorenni, 206 pistole e 610 pugnali!

Parole chiave: Il Fatto (442), Bruno Fasani (351)
Quella violenza giovanile che chiede risposte differenti

La violenza è entrata nelle tasche degli adolescenti, ma prima ancora nella loro coscienza. In una città, di cui non faccio il nome, dall’inizio dell’anno sono state sequestrate, a minorenni, 206 pistole e 610 pugnali! Ma, a fronte delle armi trovate, quante sono quelle in circolazione? Un fenomeno ormai diffuso a livello nazionale. Si pugnala un compagno perché avrebbe fatto la spia e si uccide un ragazzo perché ti ha pestato una scarpa. Cioè senza motivo. Se non quello di fare del male e di uccidere, così per il gusto di farlo. «Volevo vedere cosa si prova ad ammazzare una persona», ha dichiarato ai giudici l’assassino che ha accoltellato la prima persona incontrata per strada, nella Bergamasca.
Perché, si chiede la gente? Credo che le cause siano molteplici. A iniziare dall’irrilevanza delle agenzie educative che dovrebbero accompagnare lo sviluppo di un ragazzo. Penso alla famiglia, alla scuola, alla Chiesa, alla stessa politica… diventate esse stesse fragili e soprattutto incapaci di guardare nella stessa direzione. Basta che un ministro minacci di togliere i cellulari durante le ore di lezione perché si alzi il muro dell’opposizione gridando allo scandalo. O basta che un professore assegni qualche voto sgradito per ritrovarsi al pronto soccorso, per mano di qualche genitore o dello stesso alunno.
A questa prima causa andrebbe poi aggiunto che le nuove generazioni non sono disponibili ad ascoltare maestri. Sono creature figlie di un presente che corre velocissimo, dove alla saggezza di chi è venuto prima subentra l’influsso dell’influencer. Ragazzi senza memoria, che hanno sostituito l’adulto con i social, il cellulare, i videogiochi. Una fragilità cresciuta sul vuoto di valori che li ha portati a confondere la felicità col divertimento, dove la prima cresce nell’armonia interiore, mentre la seconda va a cercare lo star bene nel di-vertere, andando altrove, fuori da sé, come dice la parola stessa.
Va anche detto che la violenza si alimenta dal fatto che i nostri giovani hanno paure, ma non hanno più paura di nessuno. Hanno una precisa coscienza, in questo quantomai scaltrita, della loro non punibilità. Non è infrequente, in zone ad alto tasso malavitoso, che lo stesso spaccio sia demandato a ragazzini delle elementari e medie, proprio giocando sulla loro impunità. Tanto non possono farmi nulla fino a 14 anni, ti dicono sfacciatamente.
Spero di non essere frainteso quando rivendico alla società, alla famiglia, alla scuola il diritto di chiedere ai ragazzi la riparazione del male che fanno. Ne va della loro crescita e della loro salvezza, non di un nostro bisogno di rivincita o di punizione.
Pene certe e da scontare, senza cadere nel ridicolo, perché i ragazzi sanno distinguere molto bene le cose serie dalle loro caricature. Penso, ad esempio, alle sospensioni dalla scuola con l’obbligo di frequenza. Come dire: salti la cena, ma poi ti obbligo a venire a tavola.
Penso infine che oggi la violenza andrebbe raccontata con la discrezione e il pudore delle cose più delicate. Il pericolo dell’emulazione, o “effetto scia” come lo si voglia chiamare, è quanto di più grave possa influire sulla psiche di coscienze fragili.

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