Il Fatto di Bruno Fasani
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Gioire perché ha perso la Juventus è solo uno sfottò da tifosi

L'insulto, la violenza fisica o verbale che sia e, quest'ultima talvolta è peggiore della prima, non appartengono alla logica degli sfottò, ma a quella più miserabile della grettezza umana.

Parole chiave: Juventus (1), Fasani (8), Il fatto (439)

Diciamo subito che non è un peccato essere tifosi della Juve. È tanto meno il non esserlo. Le passioni calcistiche sono come gli amori, dove non è bello quel che è bello, ma ciò che piace. Tra tifoserie opposte ci sta bene anche qualche sfottò. Talvolta mi succede di illustrare le miniature di Turone di Maxio, noto pittore brianzolo, attivo a Verona nel 1300. In un corale è dipinto l'episodio dei ladroni che assaltano il viandante, quello che da Gerusalemme scende a Gerico. È più forte di me far notare che i ladroni hanno la maglia a strisce bianche e nere. Ovviamente non c’è malanimo e ci sorrido su. C’ero anch'io, che juventino non sono, a guardare sabato scorso la finale di Champions tra la squadra torinese e il Real Madrid. Eravamo in tanti, di fedi calcistiche diverse. Ero a tifare Juve, perché sentivo che anche lì era in gioco l'Italia, il mio Paese, l'orgoglio per qualcosa di bello che ci riguardava. In famiglia il bello e il buono è di tutti, senza tirarsi fuori se il vento non gira per il verso giusto. E sabato scorso il vento non era buono, a cominciare dai piedi e la testa della squadra. Troppo rinunciataria. Prime donne, abituate a brillare come stelle, ridotte a piccoli moccoli in via di spegnimento. Una squadra con problemi di tenuta psicologica, come non dovrebbe succedere a chi è arrivato fino a quel punto. Cambi fatti con eccessivo ritardo, soprattutto in quel centrocampo dove a girare non era certo la palla. Guardavo e soffrivo, mentre la ranocchietta di turno, invaghita di Giacomo, sfegatato milanista, esultava ad ogni gol del Real. E lì capisci che il tifo ha una razionalità pari a quella di un membro della famiglia delle anatidi, più volgarmente dette oche. Il risultato finale è stato quello che è stato. Brutto. Ma il peggio doveva ancora arrivare. E il peggio è arrivato nei commenti fegatosi e volgari finiti sui social contro la squadra di casa nostra. Persone che si definiscono tifosi di altre squadre, ma che di sportivo non hanno neppure la polvere del campo. Cultori nell'animo del mud wrestling, ossia della lotta nel fango, essendo produttori di melma nei meandri delle loro menti malate. I veri sportivi gioiscono per le vittorie delle proprie squadre e sono tristi per le loro sconfitte, ma sono anche rispettosi delle cadute altrui, sapendo che ogni momento buio nasconde la speranza di nuove rinascite, quando la girandola della vita metterà le cose a posto. L'insulto, la violenza fisica o verbale che sia e, quest'ultima talvolta è peggiore della prima, non appartengono alla logica degli sfottò, ma a quella più miserabile della grettezza umana. E neppure chi usa le campane della parrocchia per suonare a festa sulla sconfitta altrui, come è accaduto a Nichelino, ci fa proprio una bella figura. Segni inquietanti dentro una società che imbarbarisce.

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