Animali ridicolizzati: perché non ritornare ai principi di natura?
Passeggio per la città. Due giovani, reduci da qualche Gay Pride, che più gay non si potrebbe, portano a spasso due levrieri afgani a pelo lungo...
Passeggio per la città. Due giovani, reduci da qualche Gay Pride, che più gay non si potrebbe, portano a spasso due levrieri afgani a pelo lungo. Eleganti e sinuosi, come indossatrici anoressiche, alle gambe hanno infilato loro delle calzemaglia, a mo’ di giarrettiere, mentre sul capo indossano dei cappellini, tipo bombetta, fermati sotto il collo con un nastro a fiocco, in perfetto stile vittoriano.
Le statistiche degli esperti parlano di questa razza come la meno intelligente tra tutti i canidi. Solo il rispetto per gli animali ci impedisce di definirli stupidi, ma data la circostanza, penso che questa condizione cerebrale sia un bene per loro e per i due gigolò che li portano a spasso. La mancata coscienza della loro condizione li mette al riparo dal sentirsi ridicoli e nello stesso tempo tutela i loro proprietari da meritate ritorsioni, qualora potessero vendicarsi della condizione penosa in cui li hanno ridotti.
Qui il ridicolo sconfina nel patetico, ma ormai gli esempi di come abbiamo ridotto i nostri amici a quattro zampe sono un vivaio in cui c’è solo l’imbarazzo della scelta. Si va dal vestitino per curare la temporanea gastrite, alle carrozzine per portarli a spasso, sospinte da sudaticce paternità affettive. Tutto racconta un eccesso che merita qualche riflessione.
Un amico ha tentato di convincermi che dietro questi fenomeni si nasconde, in realtà, una accresciuta civiltà e un maggiore senso di amore per gli animali. Voglio credere che sia vero, almeno in parte, anche se di mio sarei portato a pensare che questa civiltà non sia altro che l’estensione dei diritti umani al mondo degli animali. Il tutto amplificato dal bisogno crescente di compagnia affettiva per compensare le tante solitudini che sono in circolazione. Cani come presenze umane, come bambini, affettuosi e docili, cui vanno riservati tutti i privilegi che la società capitalista riserva ai cuccioli d’uomo quando vengono al mondo. Ma siamo sicuri che per i nostri amici a quattro zampe, assolutamente disponibili a farsi viziare, questo imborghesimento di stili sarebbe ciò che esige la loro natura?
Natura. Il problema sta tutto in questa parola che la società ha deciso di mettere al bando, perché natura sa di regole fisse, di maschile e femminile, di notte e giorno, del procreare e del morire, di paternità e maternità, di ciò che fa bene e ciò che fa male… Natura sa di Padreterno, di leggi sovrane, comunque si creda, che vengono prima dell’uomo e sono più grandi di lui.
E allora meglio usare eufemismi per incartare scelte da indicare come processi di civiltà, ma che di fatto sono spesso il modo diverso con cui si è deciso di gestire l’esistenza sulla terra. Sarebbe interessante chiedersi perché tutti parlano di difesa dell’ambiente, mentre nessuno scende in campo per difendere la natura e i suoi principi. Il motivo è molto semplice. Perché parlare di ambiente fa riferimento all’azione dell’uomo, mentre se dici natura il riferimento è a dati oggettivi, anche e soprattutto per quanto riguarda la vita umana e le leggi che la regolano. E allora, tanto vale lasciare campo libero alle ideologie, pronte a dirci cosa pensare di volta in volta. Magari per fare guerra contro le modificazioni genetiche del grano, ma pronti a lasciare correre la cavalleria, quando di mezzo c’è la l’esistenza umana.
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