Anche una sana ironia aiuta a vivere da cristiani sorridenti
Nell’omelia per la festa dell’Epifania, asciutta e puntuale, come piace alla gente che non ama i brodi lunghi, il Vescovo di Verona, parlando dei Magi, ha ricordato l’importanza dell’ironia, per uscire dalle situazioni difficili senza sbucciarsi le ginocchia...
Nell’omelia per la festa dell’Epifania, asciutta e puntuale, come piace alla gente che non ama i brodi lunghi, il Vescovo di Verona, parlando dei Magi, ha ricordato l’importanza dell’ironia, per uscire dalle situazioni difficili senza sbucciarsi le ginocchia. Il re Erode aveva chiesto loro di tornare ad informarlo accuratamente sul luogo dove si trovava il possibile competitore. E c’è da giurare che questi si siano profusi in sperticate promesse, inchini riverenziali e, dopo aver lautamente banchettato alla mensa del re, lo abbiano gabbato nella più irridente delle maniere, limitandosi a cambiare strada sulla via del ritorno. Se poi Erode si sia rivolto a Chi l’ha visto?, di questo i Vangeli non ci informano.
Che l’ironia sia uno strumento da non sottovalutare l’ho sperimentato di lì a qualche giorno in un negozio della città. Entra una signora, di mezza età, di quelle che ti viene da ringraziare il Signore per il fatto che la Chiesa domandi ai preti il celibato. Lei si professa mangiatrice di libri. Provo a sondare sulle sue ultime letture, ma è notte profonda. Dice che il rapporto con la carta stampata è un suo amore soggetto ad andamento ciclico. Non infierisco per sapere quale sia stata l’ultima era nella quale non ha sofferto di allergia per l’inchiostro negli occhi.
Incuriosita mi chiede chi sono. Bruno Fasani, le dico, nascondendo le mie credenziali esteriori sotto la sciarpa e il giaccone. C’è anche un prete con questo nome, butta lì con la competenza degli ignoranti. Sì, lo so, preciso io, dovrebbe essere il prefetto della Biblioteca Capitolare. Sì, è vero, fa lei. Ma quello è molto più vecchio di lei e non si vede in giro. Mentre il Narciso che è in me gongola compiaciuto, cerco di assecondarla insinuando maleficamente che i monsignori sono avvezzi a stare chiusi nelle loro torri d’avorio, poco inclini a mescolarsi con il gregge. Lontana da me l’idea di darle della pecora che, se poi si fosse risentita, potevo sempre uscire dall’angolo cambiando animale. Mi piace che anche lei abbia una certa antipatia per il clero, è stata la sua disarmante conclusione. Non so se, come Erode, mi stia aspettando per dare seguito alle sue teorie anti-clericali, ma sorriderci sopra mi ha fatto bene e mi ha tolto dall’imbarazzo.
Giusto per evitarmi qualche senso di colpa, sono andato a rileggermi il Salmo 2, là dove ricorda che “insorgono i re della terra e i principi congiurano insieme contro il Signore e contro il suo Messia… ma se ne ride chi abita i cieli, li schernisce dall’alto il Signore”. Guai, verrebbe da dire, se il Padreterno ci prendesse troppo sul serio. Deve succedere anche a Lui di pensare che nell’impastarci, qualche volta, ha sbagliato le dosi. E ce lo fa capire sdrammatizzando, mentre ironicamente fa andare le cose nel senso opposto ai disegni umani: della serie, l’uomo propone e Dio dispone.
Non può sfuggirci l’ironia di Luca 3,1: “Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell’Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto”. Un ambaradan di potenti, praticamente tutto il mondo che contava, convinti di avere in mano le leve del mondo. Che poi, a tenerlo in piedi questo mondo, ora come allora, è di sicuro la preghiera nascosta di qualche deserto di clausura o il candore innocente dei bambini. L’ironia di Dio sulle nostre presuntuose furbizie.
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