La reazione dell’arbitro: partita finita (in anticipo)
La rabbia è una brutta bestia. Ed è anche forte, perché a volte ci scappa di mano. Quando invece la teniamo dentro, non andiamo meglio perché prima o poi scoppierà tutta di colpo...
La rabbia è una brutta bestia. Ed è anche forte, perché a volte ci scappa di mano. Quando invece la teniamo dentro, non andiamo meglio perché prima o poi scoppierà tutta di colpo. Bisognerebbe proprio non averla, ma come si fa? La rabbia è stupida, nel senso che ci fa apparire stupidi, visto che in genere ci si arrabbia per delle sciocchezze. Prendiamo il match giocato nella primavera 2016 tra Castel San Niccolò e Fortis Arezzo. Una partita di terza categoria: la quarta categoria non esiste, siamo proprio al fondo del calcio dilettantistico. A venti minuti dalla fine, la Fortis è avanti 4-0. Ci può stare, visto che gioca contro l’ultima in classifica, nella quale l’allenatore è anche amministratore e presidente del club e, già che c’è, sindaco del paese: ma va bene così, è il calcio genuino di periferia. Partita ormai indirizzata, nessun trofeo in palio: insomma, nessun motivo per arrabbiarsi. Andate però a dirlo al numero 11 dei padroni di casa, il quale insulta in rumeno l’arbitro, dimenticando che pure lui è rumeno. Il linguaggio del cartellino rosso lo capiscono tutti: l’attaccante deve uscire dal terreno di gioco. Ma la rabbia si moltiplica e, proprio mentre l’arbitro è voltato dall’altra parte, il calciatore 24enne prende la rincorsa e gli sferra un calcione alla gamba, più o meno all’altezza del ginocchio. Potrebbe tranquillamente rompergli un osso, non succede ed è già una gran buona notizia. L’attaccante vacilla, fatica a mantenersi in equilibrio per la forza del calcio che lui stesso ha dato e ritorna addosso all’arbitro, faccia contro faccia. La rabbia si moltiplica e a volte gioca con la paura: gli altri calciatori non si sono ancora frapposti tra i due e la reazione dell’arbitro è ormai inevitabile. Un pugno? Una pedata? Se vale “occhio per occhio”, che sia allora “calcione per calcione”. Oppure una testata. No, l’arbitro non ci sta. Se ne va, camminando, verso gli spogliatoi. Senza fare sceneggiate – lui che di dolore sicuramente ne sente – e senza neppure insultare (né in italiano, né in rumeno: non farebbe molta differenza). La partita finisce in anticipo, tra lo sconcerto ma senza che si sia verificata alcuna maxirissa, con alcuni picchiatori pro-calciatore, altri picchiatori pro-arbitro, altri in mezzo a menare calci un po’ dove capita. Finisce subito, come un fuoco di paglia. Finisce subito, perché non parlare alla rabbia è seminare pace.
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