L’Islanda ha vinto il mondiale del fair-play
Nelle tre partite di qualificazione ai Mondiali, Carl Ikeme ha incassato un solo gol, quello contro lo Zambia. Una rete più che innocua, visto che la sua Nigeria ha vinto comunque...
Nelle tre partite di qualificazione ai Mondiali, Carl Ikeme ha incassato un solo gol, quello contro lo Zambia. Una rete più che innocua, visto che la sua Nigeria ha vinto comunque.
È arrivato tardi in Nazionale, Carl, nato in Inghilterra ma con doppia cittadinanza. Ma ormai il più era fatto: un posto tra i convocati a Russia 2018 era suo. Gli è stato tolto un anno fa ed è una cosa che in genere ci può stare, in un mondo così competitivo.
Non basta essere i più forti, bisogna essere i più forti in quel momento così carico di tensione, ed ecco spiegato perché tanti giocatori buoni, ma panchinari nelle rispettive squadre di club e dunque non al 100% della forma, perdono il treno buono. Senza contare chi non riesce a farsi voler bene dal proprio commissario tecnico, ma quello non è il caso di Carl.
È il luglio del 2017 quando il Wolverhampton, club nel quale milita da quindici anni – fatte eccezioni per un po’ di prestiti in giro per l’Inghilterra – dà la notizia: durante i controlli medici che gli atleti svolgono nella preparazione estiva, sono venuti fuori risultati anomali nell’esame del sangue. Il responso è stato di quelli terrificanti: leucemia. «Sappiamo che Carl è un combattente, e affronterà anche questa battaglia», la certezza del club. E così è, da un anno a questa parte.
Intanto vengono sorteggiati i gironi. La Nigeria finisce in un gruppo complicato, con Argentina, Croazia e la sorprendente Islanda. Una nazione che, anche solo per questioni di latitudine, non ha proprio nulla a che vedere con la Nigeria.
Ma la sofferenza non si può confinare, lasciandola ad altri. Ecco che, prima della delicata sfida con le “aquile” africane, la formazione islandese si fa immortalare al completo mostrando una maglia speciale. C’è il numero 1, quello del portiere, e la scritta “Ikeme”. Poi la partita si gioca tra avversari – e a vincere è la Nigeria – ma quel gesto rimane.
Perché il calcio unisce e quelli come Carl sono un po’ inglesi, un po’ nigeriani, ma anche un po’ islandesi, e pure svizzeri e messicani, giapponesi e tunisini. E che siamo tutti fratelli, in fondo, non lo sappiamo certo da ieri.
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