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Carl Orff e la ricerca delle radici dell’Europa

È uscito un cofanetto di 11 cd dedicato a Carl Orff, che contiene alcune delle composizioni migliori di questa musicista

Parole chiave: Carl Orff (1), Musicista (2)

È possibile trovare nei negozi un cofanetto di 11 cd dedicato a Carl Orff (1895-1982), edito da Deutsche Grammophon, che contiene alcune delle composizioni migliori di questo musicista, universalmente noto solo per uno dei suoi lavori, i Carmina Burana portati a termine nel 1936. Si tratta, come è noto, di una sorta di sacra rappresentazione, fatta di “canti profani, per solisti e cori, con strumenti e immagini magiche”, nella quale Orff ha dato forma a un’idea molto terrena e laica della cultura medievale, innervando gli antichi canti goliardici in latino di una poliritmia scritta con squassanti dinamismo e intensità fonica, ma tagliata verticalmente da oasi liriche, melodie arcane di ineffabile suggestione, vocalità di volta in volta dolce ed elegiaca, oppure beffarda e sardonica. Un gesto compositivo che mette in testo uno degli elementi fondanti l’identità europea, vale a dire il persistere all’interno di una cultura cristiana di elementi invece pagani, legati alla terra, alle plebi agricole come a quelle dei borghi e dei villaggi. L’inserimento previsto di “immagini magiche” allude alla necessità di accompagnare l’esecuzione con elementi scenici, concreti o astratti, che richiamino le abissali lontananze di pratiche ancestrali di dominio della natura, nella lotta incessante dell’uomo contro lo strapotere del destino, della “Fortuna imperatrix mundi” che il primo coro evoca nell’ostinazione del canto sincopato teso negli estremi del piano e del fortissimo: icona sonora di un sentimento del mondo, appunto, dove le forze della distruzione e della morte, ma anche della vitalità e dell’amore, si affrontano in un’odissea sonora di fragorosa risonanza senza tempo, dalle vallate alle foreste, dalle taverne alle strade e ai vicoli di un’età di mezzo, umanamente poi non così lontana dal nostro ansioso presente.
L’accesso ai testi del passato è per Orff lo strumento per mettere a punto una strategia espressiva che rappresenta l’eternità dell’indagine dell’uomo sul senso dell’esistenza. Così, i miti di Prometeo, di Edipo e di Antigone danno forma a tre diversi drammi musicali di scrittura assai ardua, il primo dei quali (purtroppo assente nel cofanetto) si serve della stessa lingua di Eschilo, in un declamato aspro e spezzato che tenta l’impresa di ridar suono al “linguaggio del linguaggio” (così Heidegger a proposito del greco del sommo tragico).
In Carl Orff si rileva un’autentica ossessione di ricerca delle radici dell’Europa: oltre la classicità greca, nei Catulli Carmina canta l’eros con il latino del poeta veronese, mentre nell’estremo capolavoro esoterico De temporum fine comoedia i testi alternano le Profezie sibilline, gli Inni orfici e ancora i Carmina Burana, il greco e il latino ancora una volta ad accompagnare un’orchestra di organico spropositato, con percussioni di ogni tipo, in un arco teso verso l’apocatastasi, cioè il perdono universale da parte di Dio all’umanità e allo stesso Lucifero, nella caritas e per la beatitudine eterna del tutto. È l’estremo sogno artistico dell’umanesimo cristiano novecentesco, non per caso elaborato da un musicista tedesco che visse, avendo pure qualche responsabilità di omissione, l’abominio nazista: la purificazione e la redenzione – attraverso la musica – dell’uomo europeo, dopo la catastrofe di cui egli stesso è stato responsabile. Non è tutta di uguale valore, la musica di Orff: ma storicamente e concettualmente rappresenta un capitolo di importanza decisiva per capire il Novecento e la sua tragedia.

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