Giocare a pallone al Polo Sud per... ingannare l'attesa
Le due squadre non erano formate da undici calciatori ciascuna. Il campo non era regolamentare. Neppure le porte lo erano e, a dirla tutta, mancava la traversa. Non erano state segnate le linee... è un’altra partita. Giocata su un campo particolare: il Polo Sud.
Le due squadre non erano formate da undici calciatori ciascuna. Il campo non era regolamentare. Neppure le porte lo erano e, a dirla tutta, mancava la traversa. Non erano state segnate le linee del fallo laterale, del cerchio di centrocampo, dell’area di rigore. Mancavano le bandierine del calcio d’angolo. Il pallone c’era, per forza, ma solo uno – inutili i raccattapalle, quindi – e la pressione non era stata misurata: poteva essere troppo gonfio o troppo sgonfio, chi può dirlo. Non c’era l’uniforme dell’arbitro, non c’era neanche l’arbitro. Era chiaro che a un certo punto la partita sarebbe finita, ma non necessariamente dopo novanta minuti più recupero. Sembra la descrizione di uno dei nostri interminabili pomeriggi d’infanzia passati al campetto sottocasa: allora magari ci scendeva una lacrimuccia di dolore per le ginocchia sbucciate, mentre oggi – per le stesse ginocchia sbucciate di allora – la lacrimuccia è quella della nostalgia. Questa, però, è un’altra partita. Giocata su un campo particolare: il Polo Sud. La spedizione Endurance, comandata dal carismatico Ernest Shackleton, avrebbe dato prestigio al Regno Unito: 27 esploratori avrebbero attraversato a piedi l’Antartide, scoprendo nuove terre – ok, nuovi ghiacci – e raccogliendo dati scientifici. Nel gennaio del 1915, a pochi mesi dalla missione, la nave si ritrovò completamente avvolta nel ghiaccio. Sarebbe bastato pazientare un po’, e prima o poi si sarebbe liberata da sola, pensarono i più ottimisti. Ma, mese dopo mese, la nave si ritrovò nella frattura della banchisa, compressa tra due enormi distese bianche, come in una tenaglia. Gli esploratori salvarono il salvabile, prima di vedere l’Endurance andare a fondo. Ci vollero due anni – e tre morti – prima che venissero recuperati tutti i superstiti, diventati cacciatori di foche e in attesa di un aiuto in un mondo troppo impegnato dalla Grande Guerra per pensare a loro. Giocare a pallone, in quel silenzio assoluto, fu un modo per evadere, per un poco, dal dramma vissuto in quei mesi. Un’ultima cosa: una foto di quelle partite sul ghiaccio è stata postata alcuni giorni fa su Twitter da Iker Casillas, portiere che con il Real Madrid e la Nazionale spagnola ha vinto tutto. È bello quando chi con le sue parate ha scritto un pezzetto di storia del calcio si ricorda di queste storie di calcio.
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