Fratelli tutti
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Percorsi per un nuovo incontro

Al fine di cambiare in meglio il mondo, papa Francesco si appella agli “artigiani di pace disposti ad avviare processi di guarigione e di rinnovato incontro con ingegno e con audacia” (Ft, 225). E ricorda che “il processo di pace è un impegno che dura nel tempo

Parole chiave: Papa Francesco (121), Fratelli tutti (10), Mons. Giuseppe Zenti (330), Vescovo di Verona (247)

Al fine di cambiare in meglio il mondo, papa Francesco si appella agli “artigiani di pace disposti ad avviare processi di guarigione e di rinnovato incontro con ingegno e con audacia” (Ft, 225). E ricorda che “il processo di pace è un impegno che dura nel tempo. È un lavoro paziente di ricerca della verità e della giustizia… Gli accordi di pace sulla carta non saranno mai sufficienti” (Ft, 226). Occorre invece imperniare il dialogo di pace sulla verità, che però “è compagna inseparabile della giustizia e della misericordia” (Ft, 227). Di conseguenza, se verità non è vendetta, ma è raccontare ciò che è accaduto, ad esempio, alle persone scomparse o ai minori sfruttati, o alle donne vittime di abusi (Cfr. Ivi).  Del resto, “ogni violenza commessa contro un essere umano è una ferita nella carne dell’umanità. La violenza genera violenza. Dobbiamo spezzare questa catena che appare ineluttabile” (Ivi).
Va da sé che il percorso della pace non esige di “omogeneizzare la società” (Ft, 228). Ognuno è in grado di dare un proprio apporto di prospettiva (Cfr. Ivi). Solo cambiando prospettiva di società, dal dominare al servire, dall’essere egoisti al condividere, dal prevalere dell’individualismo di parte allo stare insieme, la pace ha un futuro (Cfr. Ft, 229). Occorre allora sviluppare il senso dell’appartenenza, cioè il senso dell’essere famiglia, dove tutto è condivisione, gioie e dolori e tutto mira alla riconciliazione dopo un litigio (Cfr. Ft, 230). Occorre, di conseguenza, un artigianato della pace, che sulla vendetta fa prevalere la ragione e dà spazio all’armonia tra politica e diritto (Cfr. Ft, 231) e favorisca “la cultura dell’incontro” (Ft, 232), a partire “dai settori più impoveriti e vulnerabili” (Ft, 233), che rischiano di apparire antisociali, ma se lo sono è a causa di “una storia di disprezzo e di mancata inclusione sociale” (Ft, 234). Mai allora bisogna dimenticare che “l’inequità e la mancanza di sviluppo umano integrale non permettono che si generi pace. In effetti, senza uguaglianza di opportunità, le diverse forme di aggressione e di guerra troveranno un terreno fertile, che prima o poi provocherà l’esplosione” (Ft, 235). Proprio in una cultura del conflitto, la pace passa attraverso la cultura del perdono e della riconciliazione (Cfr. Ft, 237), propria della testimonianza di tolleranza e di mitezza dei cristiani fin dai primordi del cristianesimo (Cfr. Ft, 239). Ovviamente, il perdono non fa rinunciare ai propri diritti, nemmeno di fronte ai prepotenti; anche il cristiano deve battersi per la giustizia (Cfr. Ft, 241). Il Papa riconosce che “non è un compito facile quello di superare l’amara eredità di ingiustizie, ostilità e diffidenze lasciata dal conflitto. Si può realizzare soltanto superando il male con il bene… La bontà non è debolezza, ma vera forza, capace di rinunciare alla vendetta” (Ft, 243). Non tutto va dimenticato. Certi misfatti vanno affidati alla memoria, come la Shoah o i bombardamenti a Hiroshima e Nagasaki. Occorre cioè tenere viva la coscienza dei misfatti (Cfr. Ft, 247-249). Il perdono non equivale a pura dimenticanza, ma a spezzare il circolo vizioso, l’iniqua catena del male che richiama il male, con spirito di pura vendetta (Cfr. Ft, 250-251). Perdono tuttavia non è impunità, ma “permettere di cercare giustizia senza cadere nel circolo vizioso della vendetta” (Ft, 252).
Per quanto riguarda poi la guerra, il Papa la definisce “negazione di tutti i diritti” (Ft, 257). Pur essendo lecita la difesa anche mediante la forza militare (Cfr. Ft, 258), “non possiamo più pensare alla guerra come soluzione” (Ivi). Oggi poi, nelle condizioni in cui ci troviamo non è possibile parlare di “guerra giusta. Mai più la guerra” (Ivi). Agostino stesso afferma che occorre dare la morte alla guerra con la pace. Le ragioni della pace sono sempre superiori (Cfr. Ft, 260): “Ogni guerra lascia il mondo peggiore di come lo ha trovato” (Ft, 261).  Specialmente oggi, con la disponibilità degli ordigni nucleari (Cfr. Ft, 262). Per quanto riguarda infine la pena di morte, il Papa la dichiara “inammissibile” (Ft, 263). E conclude: “neppure l’omicida perde la sua dignità personale” (Ft, 269).

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