Scommettere sui giovani
“Scommettiamo sulla capacità di futuro dei giovani” è il tema per la festa dei lavoratori del Primo Maggio della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro della Cei. Il lavoro quale promessa di futuro e il protagonismo generativo dei giovani sono gli ambiti privilegiati del messaggio
“Scommettiamo sulla capacità di futuro dei giovani” è il tema per la festa dei lavoratori del Primo Maggio della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro della Cei. Il lavoro quale promessa di futuro e il protagonismo generativo dei giovani sono gli ambiti privilegiati del messaggio. Dopo un’attenta analisi sulle forme di esclusione ed emarginazione giovanile legati alla disoccupazione soprattutto nel Mezzogiorno, il documento riprende le parole di papa Francesco che, in relazione ai giovani, ha più volte parlato di “unzione, di un dono di grazia, manifestazione dell’intrinseca dignità della persona, fonte e strumento di gratuità”. Senza il lavoro non viene infatti a mancare solamente una fonte di reddito – peraltro importantissima –, ma i giovani disoccupati “crescono senza dignità, perché non sono unti dal lavoro che è quello che dà la dignità”.
Se si interrogano le giovani generazioni per riferimento al lavoro, facilmente si nota un cambio di significato e di paradigma rispetto a quelle passate. Il senso del lavoro non è più legato allo stipendio, alla retribuzione (pur importante), in sintesi ai soldi, ma il suo significato va collocato all’interno di un percorso di vita. In altre parole, i giovani oggi mettono in discussione il senso e chiedono una ri-semantizzazione del lavoro che merita di essere accolta. In varie lingue europee, il significato originario di questa parola pare concentrarsi sempre sui suoi accenti più negativi come “tribolazione”, “fatica”, “peso” (travail; trabajo; faticà). Il lavoro come un travaglio deriva probabilmente dal latino labare che significa “vacillare sotto un peso”, “essere lì per cadere”. Etimologicamente fa riferimento a uno strumento di tortura romana, una specie di croce a tre pali: il tripalium. Questa tribolazione reclama un compenso, pretende una riparazione e quindi una paga. A livello semantico, inoltre, la progressiva perdita del significato di “vocazione” a scapito di quella di “professione”, storicamente sviluppata soprattutto dalla corrente calvinista del protestantesimo, ha subordinato il lavoro alla corrispondenza economica che ne deriva e assai raramente alla sua intrinseca qualità umanizzante. In molti e troppi casi avviene che il lavoro è richiesto e prestato in relazione esclusivamente alla gratificazione economica. La riduzione del lavoro alla pura dimensione economicistica (una dimensione profonda e qualificante dell’animo veneto) è una delle ragioni (non dico l’unica) della mancanza di collaboratori in alcuni settori importanti della nostra provincia, come il turismo. Eppure, continua papa Francesco, con tutta questa fatica – e forse a causa di essa – il lavoro è un bene dell’uomo. Ed è non solo un bene “utile” e “da retribuire”, ma un bene “degno”, perché mediante il lavoro l’uomo non solo trasforma la natura, ma anche realizza sé stesso come uomo e anzi, in un certo senso, «diventa più uomo». Il lavoro appartiene così alla vocazione di ogni persona che si esprime e si realizza nella sua attività di lavoro. “Scommettiamo sulla capacità di futuro dei giovani”. Per i vescovi italiani, ci sono germogli come l’Economia civile, l’Economia di comunione, Economy of Francesco che rappresentano «i segni di una nuova primavera. Siamo certi che l’azione dello Spirito sta suscitando nel mondo germogli di novità grazie anche alle future generazioni. Si sta già realizzando sotto i nostri occhi la profezia di Gioele: “Diventeranno profeti i vostri figli e le vostre figlie” (3,1)».
Renzo Beghini
Presidente Fondazione Toniolo
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