Mons. Santoro: “Da Cagliari un metodo nuovo”
Conclusioni della 48ª Settimana sociale dei cattolici italiani che si è svolta a Cagliari dal 26 al 29 ottobre, intitolata: "Il lavoro che vogliamo: Libero, Creativo, Partecipativo, solidale". Lo sviluppo che vogliamo in sette proposte sostenibili. Politici in platea colpiti dalla concretezza
“L’aspetto centrale del nostro convenire è stato il senso del lavoro che si identifica con il lavoro degno”. Lo ha ricordato mons. Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto e presidente del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane sociali, tracciando le conclusioni della Settimana sociale di Cagliari. “La dignità del lavoro è la condizione per creare lavoro buono: bisogna perciò difenderla e promuoverla”, ha proseguito citando il videomessaggio del Papa con cui si sono aperti i lavori: “Sono state sempre presenti dinanzi ai nostri occhi i volti delle persone, di chi non ha lavoro, di chi non lo ha più, di chi rischia di perderlo, di chi ha un lavoro precario o non degno perché incapace di sostenere il costo della vita e della famiglia”. “La testimonianza di Stefano Arcuri marito della bracciante Paola Clemente, morta mentre lavorava nei campi – ha detto il vescovo – ci ha tenuti con fiato sospeso ed ha mostrato la ferita che ci lacera il cuore quando il lavoro non è per la vita, ma per la morte. Per lei e per tutte le vittime del lavoro la nostra preghiera e il silenzioso omaggio di questa assemblea”. “Il lavoro risponde al bisogno della persona, alle sue esigenze fondamentali che sono di pane, di realizzazione, di significato, di giustizia, di felicità, di infinito”, ha detto Santoro soffermandosi sul rapporto del lavoro con la dottrina sociale della Chiesa: “Per questo obiettivo vale la pena il sudore quotidiano, la fatica e il sacrificio, ma anche il giusto riposo perché il lavoro non si trasformi in idolo”. “Senza il riposo ogni lavoro è schiavitù”, e il frutto del lavoro “può essere goduto solo se lasciamo uno spazio libero di non lavoro e di festa, e questo abbiamo il diritto dovere di farlo particolarmente nel giorno del Signore”. “Nel lavoro fatto con un senso, e quindi ben fatto, si costruisce la persona, la famiglia, la società portando avanti l’opera creatrice di Dio”, ha proseguito il presule, sottolineando che durante i lavori “abbiamo preso in considerazione le più evidenti criticità e tra loro innanzitutto quella che riguarda il rapporto giovani e lavoro e quindi la distanza tra sistema educativo e mondo del lavoro, il lavoro delle donne, il lavoro e la cura della casa comune, il lavoro malsano, pericoloso e le altre criticità del lavoro. Ce lo hanno fortemente e artisticamente documentato la mostra e il docufilm”. Tra le cause della disoccupazione e delle varie criticità messe in evidenza dagli esperti, figurano “investimenti senza progettualità; finanza senza responsabilità; tenore di vita senza sobrietà; efficienza tecnica senza coscienza; politica senza società; rendite senza ridistribuzione; richiesta di risultati senza sacrifici”. Una vera “conversione culturale”, legata “alla riscoperta del senso del lavoro come lo ha vissuto nelle sue forme migliori il cattolicesimo democratico e popolare in dialogo con le altre visioni della vita presenti nel Paese”. “Ciò accade mediante la valorizzazione dei legami sociali e spirituali in un nuovo rapporto tra imprenditore e lavoratore quando, come ha detto il Papa a Genova, l’imprenditore non deve confondersi con lo speculatore” e quindi riscoprendo un nuovo ruolo decisivo dell’impresa”, il suggerimento del vescovo, secondo il quale “è sempre più importante mettere insieme economia e società, le persone con le loro aspirazioni legittime e la visione alta della politica”. I cattolici, in Italia, non sognano “un impossibile futuro”, ma vogliono partire dal valorizzare le “buone pratiche” sparse per tutta l’Italia come “fattore decisivo”, attraverso “una presenza originale fonte di nuove forme di vita per la persona, la famiglia e la società” che “genera creatività per mezzo di imprese virtuose che non hanno come fine ultimo il puro profitto economico fine a se stesso, ma semmai fonte positiva di ricchezza condivisa ed inclusiva per tutti in particolare gli scartati”. A Cagliari, si è già mossa per Santoro una “retinopera” che vuole “favorire l’occupazione, particolarmente quella giovanile, con sostenibilità sia sociale che ambientale”. “Le Settimane Sociali di Cagliari hanno segnato una vera novità di metodo, che è persino più importante delle singole buone pratiche identificate e delle proposte per l’Italia e per l’Europa”, ha detto mons. Filippo Santoro. “Il metodo è stato vissuto a vari livelli dal cammino preparatorio fatto dal Comitato promotore della Settimana, ai lavori fatti in molte diocesi, al Progetto Policoro e particolarmente dai Cercatori di LavOro che, in questo caso è consistito nel mettersi in cammino per incontrare sui territori i 10, 100, 400 innovatori che hanno creato o favorito la creazione di buon lavoro: imprese, istituzioni formative, amministrazioni”, ha sottolineato il vescovo: “Ne è uscita una fotografia del Paese dove a trainare sono la manifattura di qualità che rilocalizza in Italia e cerca lavoratori qualificati che spesso non trova, il settore socio-assistenziale sempre più importante con i servizi alla persona, l’economia che valorizza il genius loci dei nostri territori, enogastronomia, arte, storia e cultura”. Nell’appuntamento di Cagliari, inoltre, “i 100 tavoli hanno lavorato per estrarre da queste buone pratiche suggerimenti per risolvere la piaga della mancanza di lavoro, di un lavoro degno nel nostro paese”. “Cagliari è solo una tappa intermedia tra il percorso preparatorio che ha portato alla raccolta delle buone pratiche e il percorso futuro”, ha affermato Santoro: “Questa rivoluzione di metodo può diventare un processo permanente in grado di informare, disseminare, innovare e valutare favorendo nascita e riproducibilità sul territorio”. “Un altro ambito vitale per il superamento della disoccupazione giovanile è costituito dal superamento della distanza tra istituzioni formative e mondo del lavoro con l’esigenza, prima fra tutte di trovare un percorso adeguato all’alternanza scuola-lavoro”. “È urgente investire su una formazione più efficace e più breve per l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro e prevedere una formazione continua per chi già lavora in modo da gestire adeguatamente un lavoro 4.0”, la proposta della Cei. “Ci sono poi due orizzonti che vogliamo privilegiare come indicazione del percorso del dopo Cagliari: il Mezzogiorno col Mediterraneo e l’Europa”, ha annunciato Santoro. “La proposta della 48ª edizione delle Settimane Sociali dei Cattolici italiani è che proprio la nuova centralità del lavoro segni la via che dobbiamo percorrere, diventando il cardine di una inedita alleanza intergenerazionale capace di salvare i nostri figli dalla stagnazione e gli anziani da una progressiva perdita di protezione”. “Questa è la linea auspicata dal presidente della Cei, il cardinale Bassetti, quando ha parlato di un nuovo patto sociale per il lavoro”: ha sottolineato il vescovo: “Un patto sociale che oltre alla salvaguardia della dignità umana sappia, al tempo stesso, creare occupazione e sviluppare veramente l’Italia con un progetto per il Paese e non solo con misure emergenziali”. Di qui l’urgenza di “sviluppare una strategia specifica per il Mezzogiorno, per i giovani, e, guardando specificamente varie realtà dell’Italia, non solo Taranto, la difesa dell’ambiente, della nostra casa comune”. Solo partendo da questa “rivoluzione di metodo”, secondo Santoro, è possibile declinare adeguatamente i termini di una “conversione culturale” che risponde alle esigenze di quel “cambiamento d’epoca” auspicato dal Papa. Rimettere al centro il lavoro, in questa prospettiva significa “superare le false dicotomie che separano invece di tener insieme”, partendo dalla consapevolezza che, “in una prospettiva di sviluppo sostenibile, l’inclusione è un principio economico”. Secondo imperativo: “Creare un ambiente favorevole a chi lo crea e a chi lo esercita”, obiettivo che “in Italia appare ancora molto lontano”. “Solo il lavoro che riconosce la dignità del lavoratore e lo ingaggia nella produzione di un valore non solo economico rende sostenibile la competitività e permette di fronteggiare la sfida della digitalizzazione”, ha affermato Santoro: “Per fare la quantità di lavoro occorre puntare sulla sua qualità: passare da un’economia della sussistenza – come fabbricazione e sfruttamento – ad un’economia dell’esistenza – produttrice, cioè, di saper-vivere e di saper-fare è la via per salvare e insieme”. In una parola: “Umanizzare il lavoro”.
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