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Quelle due o tre cose sul Family Day

30 gennaio: Family Day al Circo Massimo di Roma. Si parte al mattino presto. Molto presto. C’è chi va in pullman, chi in treno, chi in auto. Sono amici, coppie, giovani, bambini, nonni, famiglie. Un twitter lo ha definito “un popolo resiliente”. È stata un’occasione per riaffermare la bellezza e l’unicità della famiglia. C’erano associazioni, movimenti, persone di diverse confessioni religiose e gente comune.

Parole chiave: Editoriale (407), Family Dai (1), Renzo Beghini (62)

30 gennaio: Family Day al Circo Massimo di Roma. Si parte al mattino presto. Molto presto. C’è chi va in pullman, chi in treno, chi in auto. Sono amici, coppie, giovani, bambini, nonni, famiglie. Un twitter lo ha definito “un popolo resiliente”. È stata un’occasione per riaffermare la bellezza e l’unicità della famiglia. C’erano associazioni, movimenti, persone di diverse confessioni religiose e gente comune.
Una festa, ma anche una manifestazione di dissenso. Dal palco viene più volte ribadito: “Non è una battaglia contro qualcuno”. Ma per tutti. Si vuole affermare una differenza. Ciascuno di noi proviene da una relazione. La famiglia non è un’invenzione. È un fatto antropologico. Ci precede.
Come il nostro settimanale ha ampiamente dimostrato, il ddl Cirinnà non è una qualsiasi legge sulle unioni civili ma è un disegno di legge che mette sullo stesso piano e senza alcuna distinzione, la famiglia naturale con altre forme di legame affettivo. Basta comparare l’art. 143 del Codice civile e l’art. 3 del ddl.
Le unioni civili contemplano una gamma di legami affettivi – anche omosessuali – che “sono per loro natura diversi e vanno, quindi, tutelati diversamente dal rapporto d’amore tra un uomo e una donna che vivono un impegno stabile e disponibile alla procreazione”. Così i vescovi del triveneto. In questa materia non sono possibili compromessi al ribasso.
Attenzione, però. Il problema – soprattutto all’interno di una cultura plurale – non è disciplinare come ognuno vive le proprie relazioni affettive. La vera posta in gioco non è regolare l’orientamento sessuale o quello che accade sotto le lenzuola. Qui c’è una grande confusione di termini e significati. Per altro, legiferare sull’attività sessuale delle persone non appartiene alla tradizione politica liberale.
Al contrario, la politica – e i politici – deve chiarire cosa intende per famiglia. Quell’istituto che secondo l’art. 29 della Costituzione, va tutelato per differenza, nella sua alterità da qualsiasi altra forma di aggregazione. Perché ne va della società. Perché nella relazione elettiva e generativa tra un uomo e una donna, c’è una promessa sociale che ne marca in modo inequivocabile la differenza.
Una politica che moltiplica e dispensa a pioggia diritti senza riconoscere le differenze, anzi, definendo così l’indifferenza di qualsiasi forma di relazione, è evidentemente preoccupata da qualcos’altro che non palesa e quindi pericolosa. Così non si fa che aumentare la competizione tra diritti e il conflitto sociale.
Qualcuno dice che i cattolici fino ad ora hanno sempre perso queste battaglie. Vedremo cosa accadrà. Il passaggio dalla società organica a quella complessa comporta inevitabilmente dei conflitti culturali. Si può vivere in una società plurale senza nostalgia per il passato e allo stesso tempo non rinunciare alla sfida di essere una minoranza creativa.
Con sano realismo ed evitando qualsiasi forma di contrapposizione ideologica, rimane la ferma convinzione che “la realtà semplicemente è”. Questa è la sua forza. Vedremo chi la sa rappresentare nella sua integrità. E per raccontare la famiglia reale nella sua unicità e bellezza, ci vuole oggi molto, molto coraggio.

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