Editoriale
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Corpo a corpo

Giovedì scorso il governo ha chiesto la fiducia e il Senato ha dato il primo ok alla legge sulle unioni civili.
I commenti finali, anche da parte dei protagonisti, li lasciamo alla vostra valutazione. Da parte nostra, sono stati di una banalità da sagra della retorica: “Ha vinto l’amore”; “Da stasera tanti cittadini italiani si sentiranno meno soli”; “È stata fermata un’azione contro natura”; “Oggi l’Italia è un Paese più forte”; “Vittoria con buco nel cuore”.
Ma per favore: un po’ di decenza. C’è poco da festeggiare...

Parole chiave: Unioni civili (2), Editoriale (407), Renzo Beghini (62)

Giovedì scorso il governo ha chiesto la fiducia e il Senato ha dato il primo ok alla legge sulle unioni civili.
I commenti finali, anche da parte dei protagonisti, li lasciamo alla vostra valutazione. Da parte nostra, sono stati di una banalità da sagra della retorica: “Ha vinto l’amore”; “Da stasera tanti cittadini italiani si sentiranno meno soli”; “È stata fermata un’azione contro natura”; “Oggi l’Italia è un Paese più forte”; “Vittoria con buco nel cuore”.
Ma per favore: un po’ di decenza. C’è poco da festeggiare.
Le modifiche al ddl Cirinnà sono arrivate solo grazie ad una purissima congiura di palazzo. Altro che vittoria. E poi, vittoria di chi? Dei cattolici?
Se non ci fosse stato il cambio di passo del M5S, Renzi sarebbe andato in aula con il testo “pesante” e se lo sarebbe votato: voto segreto o palese, se lo portava a casa così com’era o poco meno, e non si sarebbe rivolto a Verdini ed Alfano per far passare un ddl “comunque fosse”.
C’è poco da festeggiare, invece. Primo, perché la battaglia ideologica tra ‘cattolici e laici’ è stata, ancora una volta, usata come foglia di fico per coprire le parti meno nobili della politica nostrana (tutto l’armamentario di ricatti, ricattini, tattiche, vendette antiche e nuove, cenni di intesa, verbali a futura memoria, cortesie “con l’elastico” ossia che poi devono tornare indietro, eccetera, di cui il ddl Cirinnà è stato solamente il pretesto).
Secondo, perché, comunque la si veda, essere cattolici è anche forma e stile.
Forma. Stile. Quelli che non abbiamo visto in tutta questa faccenda. Fuori e dentro il parlamento (vedasi, per dire, il tintinnio dei calici di Prosecco alla buvette).
Almeno tre considerazioni a margine.
Non so se le persone e le coppie che si riconoscono omosessuali siano soddisfatte della legge approvata al Senato. Di certo, un rapporto così esclusivo e compromettente come quello elettivo (anche di tipo omosessuale) è una storia che merita una ‘narrazione’ e un’attenzione più importante. Per quel che abbiamo capito dal Vangelo, amare è molto di più di un affetto o di una battuta ad effetto. Dalle parole di Papa Francesco, amare è: “guardare il volto del fratello, toccare la sua carne, sentire la sua prossimità fino a ‘soffrirla’, e cercare la sua promozione. Non è mai ideologico, dal momento che non serve idee, ma persone”.
In secondo luogo, la vicenda delle unioni civili evidenzia la necessità di ripensare il rapporto tra il mondo cattolico che rimane – comunque e sempre – plurale e il mondo politico. L’impegno dei cattolici in politica non è più pensabile come rappresentanza d’interessi particolari. Questi parametri, che hanno avuto il loro peso nell’immaginario collettivo anche recente, hanno finito il loro mandato. Ciò vale per candidati ed elettori. Ai cattolici è chiesta una nuova capacità di rappresentare l’umano “tutto intero”. In un sms arrivato giusto ieri, Loredana scrive: “Sono disoccupata da quattro anni e questi pensano alle unioni civili!”.
Infine, le questioni sollevate dall’omosessualità in genere e le relazioni affettive omosessuali nello specifico, non possono – come cristiani – lasciarci indifferenti. Certo. Dietro l’indifferenza spesso si nasconde immaturità e impreparazione. Dietro l’ostentazione e le urla dei Pride ci sono – altrettanto spesso – ideologia e lobby. Forse c’è bisogno di una riflessione e una prassi teologico-pastorale, che assuma il “corpo” come dimensione a partire dalla quale pensare la persona nella sua integralità. È l’incontro ‘corpo a corpo’, tra corpi nella loro differenza, che esprime una promessa e partecipa di un atto generativo dal quale tutti proveniamo.

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