Editoriale
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Ma “periferia” non vuol dire luogo da scansare

Che il centro eserciti un fascino maggiore rispetto alla periferia, non è una novità. Immaginiamo per esempio se un impiegato postale da un minuscolo paesino di montagna venisse trasferito alla sede centrale oppure un artigiano o un commerciante avesse l’opportunità di svolgere la propria attività in centro storico piuttosto che nella anonima periferia, tutto ciò sarebbe certamente considerato un grande salto di qualità...

Parole chiave: Editoriale (407), Stefano Origano (141)

Che il centro eserciti un fascino maggiore rispetto alla periferia, non è una novità. Immaginiamo per esempio se un impiegato postale da un minuscolo paesino di montagna venisse trasferito alla sede centrale oppure un artigiano o un commerciante avesse l’opportunità di svolgere la propria attività in centro storico piuttosto che nella anonima periferia, tutto ciò sarebbe certamente considerato un grande salto di qualità. Lo stesso per un insegnante che ottenesse il trasferimento nell’istituto più prestigioso della città. Non è da meno il campo ecclesiastico. C’è stato un tempo in cui si offriva un canonicato o una parrocchia urbana ai sacerdoti che si distinguevano per capacità e intraprendenza. Questo tempo sembra sia passato, dicono, ma non ne sarei del tutto sicuro. Tutto sommato è una cosa normale, quando una persona dimostra di avere dei talenti, la si colloca dove può rendere di più, è il principio della meritocrazia. E in chi accetta c’è anche un briciolo di ambizione e di ricerca di visibilità, speriamo non di potere.
Gli ultimi fatti che hanno riempito le cronache mondiali, dai bollettini parrocchiali alle testate internazionali, sembrano rovesciare la prospettiva. Si tratta di due avvenimenti opposti e speculari: i tristi fatti degli attentati di Parigi e la meravigliosa festa voluta da papa Francesco come anticipazione dell’apertura dell’Anno Santo nella cattedrale di Bangui nella Repubblica Centrafricana. I primi hanno avuto origine dalla periferia (banlieue di Parigi, quartiere di Molenbeek a Bruxelles) per terrorizzare il centro, colpire i suoi simboli, destabilizzare la sua quotidianità, uccidere. Per questo in tanti ringraziano Dio di abitare un po’ fuori, anche se non troppo, dai siti sensibili che sono stati segnalati dall’intelligence internazionale come possibili obiettivi dei prossimi attacchi terroristici. Forse caleranno anche un po’ i prezzi degli immobili di lusso nelle cities più famose. Il secondo invece è un fatto gioioso e, pur essendo localizzato in una capitale, si è svolto sicuramente nella periferia del mondo, l’ultimo posto dove noi vorremmo andare, non dico a vivere, ma anche solo a trascorrere una vacanza. Strano il mondo: dove si dovrebbe “stare da dio”, si muore di paura, e dove si muore ogni giorno di stenti e guerra si sorride e si diventa la capitale mondiale della speranza.
La Chiesa da sempre ha voluto organizzare la presenza dei discepoli di Cristo in comunità che oggi chiamiamo parrocchie. È presente tanto nei centri quanto nelle periferie. E da quanto ci ha insegnato Francesco, non credo più che fare il parroco in un villaggio disperso della savana africana, nella foresta amazzonica o più semplicemente nella nostra provincia veronese in mezzo alla gente “normale” sia meno prezioso che farlo in una prestigiosa basilica o dove s’incontrano i vip. La differenza non sta nel luogo, ma nel come lo abitiamo. Essere un buon seme, anche se nascosto, questo fa la differenza.

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