L’orchestra dei preti
«L’orchestra è il sinonimo di società. Ci sono i violini, i violoncelli, le viole, oboe, trombone... Ognuno di loro spesso ha parti completamente diverse, ma devono concorrere tutti a un unico bene, che è quello dell’armonia di tutti»...
«L’orchestra è il sinonimo di società. Ci sono i violini, i violoncelli, le viole, oboe, trombone... Ognuno di loro spesso ha parti completamente diverse, ma devono concorrere tutti a un unico bene, che è quello dell’armonia di tutti». Sono risuonate in tutto il mondo le parole del maestro Riccardo Muti venerdì scorso nell’anfiteatro romano di Verona, dove anch’io sono tornato, a poche settimane di distanza da “Arena di pace”. Tra coloro che mi erano seduti vicino, alcuni scherzavano se il Maestro si sentisse un po’ il Papa o, in senso più buono, se – rimanendo nella metafora – suonassero lo stesso spartito. Altri invece si sono soffermati più sulla conclusione del discorso di Muti, dove ha sottolineato come a impedire che venga suonata della buona e armoniosa musica può essere solo la presenza di un prevaricatore, nella fattispecie il direttore d’orchestra. «Un po’ come nelle parrocchie, dove è colpa dei preti se non suonano più bene»: ha sbottato uno, mente altri si chiedevano se Muti ce l’avesse con Meloni o se fosse (diventato) umile.
Un giudizio direi troppo affrettato, ma che risuona in tante lamentele, tra chi parla di guide troppo autoritarie e altri che raccontano di preti che rinunciano a essere veri pastori e quindi lasciano spazio a lupi o mercenari.
Non essendo il contesto per una disamina approfondita, rimando solo ai tanti documenti che ci parlano di come il prete, ma in realtà ogni cristiano, trovi la pienezza della sua vocazione non solo nel compiere se stesso, ma soprattutto nella realizzazione della comunità (cfr. in particolare Nuove vocazioni per una nuova Europa, 1997).
In questo orizzonte risuonano significative le parole del vescovo Domenico Pompili al ritiro unitario del clero tenutosi al santuario della Madonna della Corona giovedì 6 giugno. Innanzitutto, ha sottolineato che il prete deve ricordarsi di essere parte, e allo stesso tempo a servizio, di un’esperienza essenzialmente comunitaria, visto che «è insieme che si cammina dietro a Cristo». Quindi, ha ricordato che si tratta di tenere unite la vicinanza con Dio e quella con la gente, verso la quale in tutti i modi deve cercare di azzerare le distanze essendo disponibile all’ascolto, alla cura, alla prossimità. Solo così si vive e si fa vivere una umanità non annichilita, ma elevata.
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