Francesco sindaco
Papa Francesco corre da solo e stravince al primo turno con ampio premio di maggioranza. In giorni di elezioni amministrative, di eletti e delusi; di liste, percentuali e ballottaggi; di conta per l’astensione, strani apparentamenti, cambio di alleanze in corsa, laboratori per prossimi appuntamenti … in giorni così, insomma, chi si prende la scena è il primo cittadino del Vaticano.
Papa Francesco corre da solo e stravince al primo turno con ampio premio di maggioranza. In giorni di elezioni amministrative, di eletti e delusi; di liste, percentuali e ballottaggi; di conta per l’astensione, strani apparentamenti, cambio di alleanze in corsa, laboratori per prossimi appuntamenti … in giorni così, insomma, chi si prende la scena è il primo cittadino del Vaticano.
Il quale, in assoluta controtendenza, una volta ancora rebalta el parol per dire papale papale (appunto): “La Chiesa deve immischiarsi nella grande politica, perché la politica è una delle forme più alte della carità”.
Un rovesciamento di prospettiva per scardinare due dogmi della cultura moderna. Anzitutto la vulgata secondo la quale lachiesanondeveoccuparsidipoliticaperchéciòcostituisceingerenza. Anche per Laura Boldrini, presidente della Camera, non si tratta di intrusione ma di politica alta.
L’autorevolezza ‘politica’ di Francesco nasce anzitutto dalla sua autenticità. Non si tratta di sentimento ma di trasparenza. Francesco è un uomo che dice quello che è ed è quello che dice. Magari anche con qualche nota strana cui non siamo abituati, con qualche battuta fuori le righe. Non cerca il consenso. È quello che dice.
È un uomo che ha abbandonato il parlare concettuale, logico-argomentativo, in favore di quello narrativo. Racconta storie, e le racconta attraverso esempi. Quasi parabole 3.0. Quando i bambini gli chiedono il perché della morte degli innocenti, dice: “io non so dare una risposta”. “Però io faccio così: guardo Gesù in croce”. Le sue parole hanno la densità delle storie che ha incontrato, di cui ha colto le domande inespresse, non dette.
Il mese scorso davanti ai vertici europei, papa Francesco ha parlato di Europa famiglia di popoli. Non un Superstato o una tecnocrazia; ma uno strumento al servizio della convivenza delle diversità, una forma politica nuova capace di generare collaborazione e integrazione fra diversi. Società stratificata, come una cipolla o per chi preferisce, una torta millefoglie, perché storicamente in grado di integrare i nuovi arrivi e le diverse culture, senza però mai perdere la propria anima.
Un altro rovesciamento clamoroso. Il capo della Chiesa cattolica – commentava Magatti dell’università Cattolica – una chiesa a lungo avvertita come un baluardo della conservazione, diventa così, di fatto, il soggetto che più di ogni altro, nel Vecchio Continente (e non solo), è capace di parlare di futuro. Non additando promesse più o meno irraggiungibili, bensì avendo il coraggio, da un lato, di dire apertamente quello che non va nel nostro modello sociale, e, dall’altro, di indicare le vie di una vera e propria conversione politica, economica, sociale, culturale. In una parola, spirituale.
Comunque, questo giro di amministrative è andato. Francesco non deve apparentarsi con nessuno. Il suo programma è chiaro e accessibile. È sempre in giro in lungo e in largo in mezzo alle persone. Si cura dei deboli, degli altri, delle cose di tutti. Peccato che risieda oltreconfine e non sia candidabile. Averne, di sindaci così.