«Il progresso ci aiuterà a cambiare, ma non c’è più tempo da perdere»
di ADRIANA VALLISARI
Intervista al climatologo Giulio Betti: abbiamo mezzi e risorse, ma finora abbiamo fatto poco
di ADRIANA VALLISARI
C’è un nuovo clima che ci attende. L’aumento delle temperature globali provocato dalle attività umane è un problema serio, che richiede di guardare in faccia la realtà e agire. La buona notizia? Abbiamo i mezzi e le risorse per affrontare il problema della crisi climatica in atto. Quella cattiva? Le politiche di mitigazione introdotte finora sono insufficienti. Si può fare di più e meglio, senza negare il cambiamento, né scoraggiarsi. Ne è convinto Giulio Betti (nella foto), meteorologo e climatologo del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) e del Consorzio Lamma, autore del libro Ha sempre fatto caldo! (Aboca edizioni).
– Betti, quello che abbiamo visto in Spagna nei giorni scorsi ha fatto subito esclamare a qualcuno: “Eccolo il cambiamento climatico!”. Altri invece hanno minimizzato: “Sì, ma le alluvioni sono sempre successe”. Dove sta la verità?
«È vero che queste conformazioni ci sono sempre state: abbiamo avuto un precedente proprio nella regione di Valencia il 14 ottobre 1957, con oltre 80 morti e conseguenze disastrose, ma la pioggia era caduta in più giorni. Invece il sistema di fine ottobre ha scaricato una quantità d’acqua enorme in sole 8 ore: quasi 500 mm di pioggia, più di quella che cade in un anno. Un episodio simile, causato da un vortice isolato per ore e ore e altrettanto devastante, si era presentato in Germania nel 2021. La differenza col passato è l’ambiente in cui si generano questi sistemi: trovano molto più vapore acqueo di 70-80 anni fa e quindi sta cambiando la loro intensità».
– Come abbiamo visto a fine settembre con la tempesta Boris nell’Est Europa e poi in Emilia-Romagna?
«Sì, sono dei segnali chiarissimi del cambiamento climatico, che combaciano con le proiezioni proposte 20-30 anni fa. Prendiamo il numero di fenomeni estremi pluviometrici negli ultimi due anni: in Europa siamo fuori da ogni scala».
– Guardando al meteo di quest’anno in Italia, che considerazioni possiamo trarre finora?
«È stato, insieme al 2023, un anno clamoroso per il numero di eventi estremi: caldo eccezionale e precipitazioni intense. Da noi, ma pure nel resto del mondo: basti pensare agli uragani degli Stati Uniti, meno numerosi ma eccezionali. Non bisogna essere dei climatologi per accorgersi del cambiamento in atto».
– Per il prossimo inverno cosa dobbiamo aspettarci?
«Le temperature medie in Italia si sono alzate moltissimo. Io sono originario della Val Padana – tra l’altro, mio nonno Olivio era di Legnago, nella Bassa veronese – e prima di trasferirmi a Firenze, nel 1986, ricordo che d’inverno in Lombardia c’era la galaverna. Ora in Val Padana la neve si è azzerata. I futuri inverni potranno essere caratterizzati da brevi eventi di freddo, ma con temperature miti. Quello scorso è stato di fatto un prolungamento dell’autunno, mentre i prossimi mesi dovrebbero essere più freddi dello stesso periodo del 2023, con una situazione meno anomala, ma sul fronte neve per ora sono poco ottimista».
– Poche vette imbiancate significano minori riserve idriche...
«Fino a due anni fa al Nord e in parte del Centro parlavamo della peggiore siccità da 500 anni a questa parte. Poi è iniziato a piovere, ma in maniera torrenziale durante ogni perturbazione. Oggi le risorse idriche sono a posto al Nord; al Sud invece c’è una grave carenza. Visto che in futuro avremo lunghi periodi siccitosi alternati a periodi brevi piovosi, dovremo imparare a raccogliere meglio l’acqua quando cade».
– Qual è la bufala sul clima che ci beviamo di più?
«Di sicuro: “Ha sempre fatto caldo!”. La memoria degli italiani ricorda le ondate di caldo e mai le estati fresche e piovose. Il problema è che il Mediteranno ha sempre avuto un clima mite ed estati temperate; le ondate di calore accadevano sporadicamente, una all’anno, e si alternavano a estati fresche, come quelle degli anni ’50 e ’60. Adesso le ondate di calore in Italia si sono triplicate: la Pianura Padana ha registrato il record di notti tropicali la scorsa estate. Giugno a qualcuno è sembrato fresco: invece no, era molto più caldo della media».
– La temperatura della Terra nei prossimi decenni continuerà a salire: dovremo adattarci, ma come?
«Se non cambiamo, rischiamo grosso. Però il cambiamento non è necessariamente qualcosa di negativo. Per esempio, preservare le foreste tropicali, puntare sui rimboschimenti fatti bene, rinaturalizzare i fiumi e recuperare le zone umide mitigherebbe tantissimo gli effetti delle alluvioni, riducendone i danni e aiutando al contempo ad assorbire l’anidride carbonica».
– Lei nel libro scrive che la spinta in avanti verso l’uso di energia pulita c’è stata: nel 2023 il 30% di tutta l’elettricità a livello planetario è derivata da fonti rinnovabili. Vuole farci coraggio?
«Il libro dà vari spunti di speranza: la verità è che non ci manca nulla per agire. Ci sono modelli virtuosi a cui guardare, come la rinaturalizzazione del fiume Reno, o gli interventi introdotti a Stoccarda, in Germania, per farla diventare una città resistente alle ondate di calore. Ma abbiamo in atto buone pratiche anche da noi: l’alto Vicentino è d’esempio per gli interventi di messa in sicurezza del territorio, con la regimazione delle acque per ridurre l’impatto degli episodi alluvionali sempre più intensi. O, ancora, il lago di Bilancino a Firenze, a lungo contestato, è un invaso che preserva la città dalla carenza d’acqua».
– Siamo alla vigilia della 29ª Cop delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che si terrà in Azerbaigian dall’11 al 22 novembre. Spesso in questi anni abbiamo sentito ripetere che era importante contenere l’aumento delle temperature globali entro i 1,5 gradi centigradi da qui al 2030. Ora sembra che questa soglia non saremo in grado di rispettarla.
«L’obiettivo del contenimento entro il grado e mezzo è fallito; sarebbe utile riuscire a mantenerlo entro i 2, ma bisognava farlo ieri. Lo scenario più probabile, oggi, è l’aumento di 2,7 gradi entro il 2100». – Le nuove generazioni hanno ragione a essere arrabbiate... «Sentono che dovranno pagare un conto molto alto per qualcosa che non è dipeso da loro. Gli adulti di oggi hanno contribuito in maniera inconsapevole a questo disastro, sebbene fin dagli anni ’50 gli studi delle compagnie petrolifere dessero per certo l’aumento delle temperature globali legato alle emissioni di anidride carbonica».
– La tecnologia ci aiuterà?
«Sì, tantissimo. È già 20 anni avanti, basti pensare agli studi sulle energie alternative o sulla fusione a freddo. Sono invece favole gli impianti che assorbono la CO2 in atmosfera o l’aerosol per diminuire il soleggiamento: chi le propone, dice delle sciocchezze. Dovremo farcela studiando le specie resistenti in agricoltura, migliorando l’efficientamento degli impianti elettrici, producendo batterie che permettano maggiori stoccaggi, e così via. Tecnologia, politiche globali e scelte individuali devono andare a braccetto».
– Le azioni dei singoli, dall’installarsi i pannelli solari allo scegliere mezzi di trasporto non inquinanti, servono?
«Incidono se le fanno in tanti. Siamo dei consumatori e il mercato si adegua. Se il cambiamento lo fa una persona, non impatta. Se lo fanno dieci o cento milioni di persone, sì».
– Un’ultima domanda. Perché le previsioni meteo ci appassionano (e ossessionano) così tanto?
«È una passione innata nell’essere umano, perché clima e meteorologia influenzano tantissimo le nostre vite, anche se non ci pensiamo. Un tempo si ascoltava il colonnello Bernacca alla tivù; oggi il progresso ci ha dato grandi mezzi, dai satelliti ai social. Il problema è l’abuso o l’uso scorretto di questo eccesso di informazione tecnologica, che genera confusione. Ecco perché, con i miei colleghi, lottiamo contro i negazionisti del cambiamento climatico: sono una minoranza, ma molto rumorosa».
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