Kit minimo per candidati che ci credono
Dieci i candidati sindaco per il Comune di Verona. Venticinque le liste. Ottocento sedici gli aspiranti per il consiglio comunale. Duemila circa i pretendenti ad un seggio negli otto Consigli di circoscrizione. Senza dimenticare la provincia dove sono tredici i Comuni che andranno ad elezioni con 42 liste e 38 candidati sindaco.
Dieci i candidati sindaco per il Comune di Verona. Venticinque le liste. Ottocento sedici gli aspiranti per il consiglio comunale. Duemila circa i pretendenti ad un seggio negli otto Consigli di circoscrizione. Senza dimenticare la provincia dove sono tredici i Comuni che andranno ad elezioni con 42 liste e 38 candidati sindaco.
Al momento non ci sono (o non sono pubblici) sondaggi e non si fanno pronostici. Sia perché i veronesi sono difficilmente prevedibili (non sono tutti matti?), sia per la presenza di progetti politici nuovi e inediti.
Che dire ai candidati e ai molti che provengono dal mondo cattolico? Che cosa insegna e quale eredità porta l’intelligenza della fede?
Il papa che più sta ispirando il Magistero sociale di Francesco è Paolo VI. Colui che ha traghettato nel mondo la chiesa uscita dal Concilio, che ha dialogato con la modernità senza fuggirla o condannarla a priori.
È un Papa il cui Magistero per certi versi ha ancora molto da dire nella lettura critica del nostro tempo. Egli ha letto la secolarizzazione non come la morte o l’assenza di Dio, bensì come la fine di una cultura monolitica in situazione dominante e quindi organica e unitaria. Di conseguenza è finito il tempo della rappresentanza politica come appartenenza ideologica. È una transizione d’epoca di cui è necessario avere la giusta consapevolezza e sapersi confrontare. Ciò non significa la fine della presenza dei cattolici in politica. Per Paolo VI la fede in Gesù Cristo «domanderà ai cristiani moderni non minori, anzi forse maggiori energie morali che non ai cristiani di ieri». Per questo raccomandava preparazione, discernimento e capacità di mediazione.
Preparazione anzitutto perché il Vangelo non è un limite da cui affrancarsi per poter laicamente esercitare il proprio impegno pubblico. È piuttosto la fonte dei significati di un bene che è di ciascuno e atteso da tutti. L’impegno politico è per natura un atto di fede in un bene che è comune. Ma per convincere delle buone ragioni di questo bene ci vuole un pensiero il che significa studio e preparazione.
Paolo VI ha inoltre raccomandato il discernimento. Un metodo che fa parte della tradizione cristiana e che comporta uno stare di fronte alle cose avendo presente i principi e le scelte da fare, ma senza confondere i principi e le scelte. Le scelte saranno comprensibili e condivisibili, solo se i principi di riferimento sono profondamente vissuti. Le scelte devono sempre essere il frutto di un esercizio responsabile della libertà. Ciò comporta una visione del mondo non ideologica. Il passaggio dei valori morali all’azione concreta implica sempre un appello alla libertà della persona perché vivere nella Chiesa «non esenta dal dubbio».
Da ultimo mediazione. La politica è la capacità di ‘mettersi in mezzo’ per ricucire i frammenti di una società di individui. La capacità di relazione non è una virtù infusa né s’improvvisa, ma necessita di esercizio quotidiano, coraggio e pazienza. Non si tratta di stare o occupare il centro come spazio geometrico o come sintesi.
Papa Francesco ci insegna a non aver paura del conflitto perché chi non rischia non si avvicina alla realtà. Il conflitto dice “rischio”, ma nello stesso tempo “opportunità”. ‘Mai girarsi per non vedere il conflitto’ continua Francesco. I conflitti si devono assumere se si vogliono risolvere. Non si risolvono rimanendo lontani o estranei.
Un augurio a tutti.