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Le realtà sociali per i più fragili: «Regione, così ci fai chiudere»

di ADRIANA VALLISARI

Costi aumentati e pochi aiuti da Venezia per disabili, anziani, malati mentali...

Le realtà sociali per i più fragili: «Regione, così ci fai chiudere»

di ADRIANA VALLISARI

«Tutto quello che si poteva tagliare l’abbiamo già tagliato da tempo: adesso è a rischio la sostenibilità dei nostri servizi. E di certo non possiamo non pagare i dipendenti, ridurre i pasti serviti o tenere gli alloggi a temperature polari: abbiamo già tirato la cinghia, più di così siamo costretti a chiudere».

Raggiungere al telefono il padovano Roberto Baldo in questi giorni è impresa ardua. Non per la sua disponibilità, ma perché la linea è sempre occupata: d’altronde è un punto di riferimento per tutte le cooperative sociali, essendo da dieci anni il presidente di Federsolidarietà Veneto, la federazione di settore delle cooperative sociali aderenti a Confcooperative Veneto.

Una realtà, per dare l’idea, che rappresenta 420 delle 700 cooperative sociali iscritte al registro regionale e impegnate ogni giorno a dare servizi a 220mila famiglie. E che ora sono in fibrillazione, perché la Regione ha ventilato una riduzione di risorse destinate ai servizi gestiti da questi enti del Terzo settore, che poi li usano per far funzionare i servizi per la disabilità e la salute mentale. Così, mentre le trattative con la Regione proseguono, Federsolidarietà Veneto, insieme ad Anffas e Uneba, si sta mobilitando per sollevare l’attenzione sul rischio dei tagli, che ricadrebbero su migliaia di famiglie.

– Presidente Baldo, qual è il problema?

«Manca un terzo della copertura economica di quello che abbiamo chiesto per tenere in piedi il sistema. Siamo ben consapevoli che le risorse non sono infinite, ma la politica deve decidere dove metterle: finanziare magari qualche sagra in meno e spostare i fondi dove servono. Stiamo parlando dei problemi delle persone, la nostra preoccupazione è grande».

– Voi denunciate che le rette corrisposte dalla Regione per i servizi che fornite ogni giorno non sono sufficienti per farvi stare in piedi. Quali sono le voci che fate fatica a coprire?

«Quest’anno è entrato in vigore il nuovo contratto collettivo delle cooperative sociali, che era fermo da cinque anni. Un aumento contrattuale giustissimo, ma che inciderà sul costo del lavoro di una struttura di un +15% in tre anni: il primo aumento è avvenuto a febbraio, il secondo sarà a novembre. Un maggior costo che non è compensato dalla Regione. Questa cosa l’abbiamo denunciata già l’anno scorso, in modo che ci fosse il tempo per prepararsi. E invece... Lo stesso vale per un altro punto».

– Quale?

«I consumi energetici, dal periodo del Covid in poi, sono schizzati in alto. Gli aumenti delle bollette che hanno avuto tutte le famiglie in questi ultimi anni e gli effetti dell’inflazione li abbiamo avuti anche noi. Non solo non possiamo non pagare i nostri dipendenti, ma non possiamo rinunciare al vestiario, ai servizi essenziali, all’energia, al riscaldamento... Gli sforzi che potevamo fare, li abbiamo già fatti: per esempio, se c’era da cambiare la cucina in una comunità alloggio, abbiamo aspettato; se bisognava ritinteggiare dei locali, abbiamo rinviato; se il pullmino per trasportare le persone con disabilità dal centro diurno a casa e viceversa prima lo sostituivamo ogni 6 anni, adesso tiriamo avanti fino a 10...».

– Sembra che se ce l’avete fatta finora, avete persino superato la pandemia e siete rimasti in piedi, allora potete stringere la cinghia ancora un po’...

«Ma più di così la cinghia non si può tirare! Alla Regione diciamo: troviamo un equilibrio, che non può essere quello di tagliare i nostri servizi».

– Oltretutto in Veneto siete una compagine non da poco.

«Rappresentiamo 27mila lavoratori. E i nostri servizi sono molto trasversali: vanno dalla disabilità alla salute mentale, dall’infanzia agli anziani, passando ai senza dimora. L’aggregato economico della cooperazione sociale in Veneto sfiora i 2 miliardi di euro di attività. Se oggi la cooperazione sociale non ci fosse, nessuno la potrebbe sostituire. Una grossa parte del welfare, lo Stato la fa attraverso le cooperative: cioè non gestendolo in proprio, ma affidandola a cooperative sociali accreditate. Per esempio, in Veneto il 90% dei servizi alla disabilità li dà il Terzo settore».

– È un ruolo prezioso, ma poco noto ai più.

«Guardi, se domani chiudessimo i nostri servizi, se ne accorgerebbero tutti. Non lo facciamo per senso di responsabilità. Ora alziamo la voce perché chiediamo che sia riconosciuto il nostro valore e la nostra professionalità: non siamo volontari, bensì educatori, psicologi, medici, psicoterapeuti, educatori professionali, infermieri... Tra l’altro la tipologia di utenza che oggi arriva è molto complessa e grave, necessita di interventi mirati, che comportano quindi costi maggiori. Perciò chiediamo una copertura dell’aumento del costo del lavoro. Prendiamo un infermiere: ci serve, e di certo non possiamo pagarlo 300 euro in meno di quello che prevede il suo contratto».

– Quindi?

«La Regione deve stanziare le risorse per coprire questi nuovi costi e garantire la sostenibilità del sistema, che adesso non sta in piedi. Oltretutto siamo l’unica forma di impresa nel diritto italiano che viene ispezionata ogni anno dal ministero del Lavoro: se andiamo in perdita, ci chiudono le cooperative, bisogna chiudere il bilancio in pareggio. Ci dicano se non serviamo più, ma dubito esistano altre soluzioni». 

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