Era il 5 dicembre ed era un lunedì
Comunque andrà a finire, sarà stata un’occasione importante di partecipazione. Lo si è visto nei numerosi incontri promossi da parrocchie, circoli culturali, scuole superiori e Comuni. Si è percepito un desiderio di politica sincera e genuina: voglia di conoscere, documentarsi e confrontarsi...
Comunque andrà a finire, sarà stata un’occasione importante di partecipazione. Lo si è visto nei numerosi incontri promossi da parrocchie, circoli culturali, scuole superiori e Comuni. Si è percepito un desiderio di politica sincera e genuina: voglia di conoscere, documentarsi e confrontarsi. Prima ancora del “Sì” o del “No”, il valore di questa lunghissima (troppo lunga) campagna referendaria sta nel fatto che molti non si sono accontentati del sentito dire o degli ordini di scuderia, ma hanno avvertito il bisogno di esserci e di contare in prima persona. Hanno percepito la Carta costituzionale come Magna Charta, la “Carta” di tutti. Come andrà? Il risultato appare “sanamente” – non solo prudenzialmente – incerto. Un amico diceva che quelli del No lo dichiarano apertamente, quelli del Sì invece tacciono. Vedremo. Ma al netto delle previsioni, ciò che abbiamo visto ci permette almeno tre considerazioni.
Una prima sta nel fatto che la revisione della “macchina” legislativa (dal numero dei parlamentari ai procedimenti) è cosa ormai doverosa e necessaria. Su questo c’è una consapevolezza di base che è trasversale alle forze politiche. È un lavoro iniziato già 35 anni fa, con ripetuti tentativi mai conclusi, che spingono per un necessario rinnovamento delle procedure. Il referendum di domenica quindi, riguarda un determinato progetto di riforma: la proposta Boschi-Renzi. Non è in discussione se aggiornare, ammodernare, rinnovare o no le procedure legislative. Cosa ormai non più rinviabile (e non perché lo chiede l’Europa).
Una seconda considerazione riguarda la comunicazione politica che ha accompagnato le ragioni del Sì e del No. Una comunicazione che si è concentrata fin troppo su ragioni estrinseche rispetto alla proposta di modifica costituzionale. Se vince il Sì, ci sarà il diluvio universale; se vince il No, sarà invece un terremoto catastrofico. Il linguaggio apocalittico non appartiene alla città terrena, direbbe sant’Agostino, perché si tratta di “cosa penultima” e non “ultima”. Pur nel confronto e nell’opposizione dialettica, diamo alla proposta di riforma costituzionale il valore che le spetta. E non più di quello.
Un terzo elemento. I vescovi italiani hanno invitato a informarsi, a capire e a decidere senza paraocchi. L’invito non è rimasto inascoltato. Ma il “non detto” della proposta di riforma Boschi-Renzi, ciò che non è chiaro e che lo diventerà solo con provvedimenti attuativi successivi, di carattere accessorio, complementare, aggiuntivo... è molto (e forse troppo). Non è definita la legge elettorale inevitabilmente collegata con la riforma; non è chiara l’elezione e la doppia funzione dei senatori sindaci e consiglieri regionali; non è limpida la metamorfosi verso il presidenzialismo; non è trasparente il peso della clausola di supremazia nelle materie di competenza concorrente tra Stato e Regioni ordinarie; non si capisce perché, con una proposta di riforma così incisiva, non si tocchino le Regioni a statuto speciale. Ciò detto rimane la questione apicale: possiamo permetterci un altro fallimento della riforma?
Comunque vada, il 5 di dicembre a chi avrà avuto il consenso della maggioranza, spetterà non solo il diritto di raccontare la volontà del Paese ma soprattutto il compito di ripulire il linguaggio, di ricostruire ragioni degne di vita comune e di riproporre un progetto politico condivisibile per tutti.