Caffè & brioche

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«Insegnateci il senso del limite, da soli non siamo in grado», avrebbe detto una studentessa ai ricercatori che scoprivano l’acqua calda, e cioè che per i ragazzini d’oggi lo smartphone è peggio della droga. Bah… Avrà avuto un momento di (rara) lucidità, perché l’esperienza personale insegna che – dagli 11 anni in su – i giovanissimi non abbiano alcuna voglia di limitarsi almeno un po’. Instagram, la parola magica. Verrebbe voglia di scrivere tutte le cose che si dicono ai figli (“la vita vera è altro!”, “spegnilo!”, “ai miei tempi…”), ma – sempre per esperienza personale – non serve letteralmente a nulla. La cosa peggiore è un’altra: mentre si sermoneggia con la figlia su quella protesi della mano chiamata smartphone, lei ti secca in un nanosecondo facendoti notare i genitori dei suoi amici: tutti intenti a chattare con altri su quanto sia luminoso il sole e quanto sia respirabile l’aria. Con la testa china sullo smartphone che non abbandonano mai, come i figli. Quindi sono i ragazzini i “drogati” dal cellulare?

Avete notato che, quando le scuole a Verona sono aperte, il traffico assomiglia a quello di Caracas, mentre quando c’è vacanza la circolazione si fa calma come a Portobuffolè? Quindi, al netto di piogge, lunedì, fiere e quant’altro, il colpo di grazia lo danno i nostri figli che vanno a scuola. Anzi noi che li accompagniamo, mettendoci pure la scia di bus provenienti da ogni dove. Siccome il problema delle scuole è ineliminabile – anche se, per la quantità di asini che sfornano, qualcosa si potrebbe pur fare anche lì –, forse gioverebbe procedere per la strada che ormai tutti indicano come più intelligente: orari diversificati d’ingresso, prima le elementari e le medie, più tardi le superiori. Basterebbe mezz’ora, un piccolo passo per il sistema scolastico veronese, un grande passo per l’umanità scaligera. Non lo faranno mai.

Una delle tante opere nate sulla carta, morte sulla carta: parliamo della cosiddetta Nogara-Mare, una bretella autostradale che avrebbe dovuto congiungere appunto Nogara (e Mantova) alla nuova Romea (che anch’essa vegeta da anni nel limbo). Per carità: avrebbe congiunto metropoli come Casaleone, Castelguglielmo, Pontecchio Polesine, Gavello… Il sospetto che non fosse l’autostrada più attesa nel mondo occidentale sorgeva abbastanza spontaneo. Ci fosse stata, avrebbe fatto comodo alla nostra Bassa. Ma i soldi? Ecco, su quelli i sogni sono morti all’alba. Zaia, che Nogara la deve individuare con il Gps per capire dov’è, ha detto no no no. Abbiamo un’assessora veronese (della Bassa!) ai lavori pubblici, che l’ha seppellita dicendo: non si discute l’utilità dell’opera, ma la sostenibilità economica. Beh, se ci passassero 100mila automezzi all’ora, la sostenibilità economica non sarebbe più un problema, e l’utilità sarebbe stata sicuramente maggiore…

I britannici cacciano “diplomatici” russi per ritorsione, dopo un avvelenamento di un’ex spia fatto con una specie di bomba atomica chimica. I russi a loro volta mandano a casa molti “diplomatici” britannici di stanza a Mosca. E americani ed europei rispediscono a Mosca una quantità di russi gozzoviglianti in diverse ambasciate occidentali. Insomma una guerra di spie che coinvolge pure Verona. Pare infatti che il sindaco Sboarina abbia cacciato alcuni “diplomatici” russi, beccati mentre cercavano di capire dove fosse finito il filobus. Erano convinti che fosse stato nascosto sotto il tunnel delle Torricelle: li abbiamo beccati perché sono gli unici a credere nell’esistenza sia del tunnel, sia del filobus.

Girando per Verona e provincia, si nota che in molti casi i cartelloni elettorali sono ancora lì, con alcuni manifesti (pochi, in verità) che ti invitano a votare Tizia o Caio anche se ormai è passato quasi un mese dalle elezioni. Fanno ancor più tristezza, visto che l’esito del voto lo conosciamo e sappiamo bene che Tizia e Caio hanno speso male i loro soldi per farsi pubblicità. Piuttosto ci si chiede se i cartelloni siano rimasti lì per sciatteria o per preveggenza. Sciatteria dei Comuni, perché chissà quanto ci vorrà per togliere quattro strutture di ferro, appunto a quasi un mese di distanza. Ma potrebbe essere preveggenza, visto appunto l’esito elettorale e l’enorme difficoltà che da questo esca una maggioranza, e quindi un governo. Siamo già pronti per il prossimo round, facciamo la punta alle matite e allora il sacrificio di Tizia e Caio non sarà stato invano: hanno già i manifesti attaccati.

Il Chievo Verona non se la passa bene, ultimamente. Non vince dall’epoca di Cicerone e avrebbe bisogno di punticini per evitare di finire in quella B dove avrebbe ottime possibilità di ritrovare l’Hellas. Insomma, per la Verona gialloblù un disastro. Così il suo presidente, Luca Campedelli, “ci ha messo la faccia”, come si dice in orrendo gergo giornalistico. Ha detto: «Ci eravamo abituati troppo bene, non facciamoci prendere dallo scoramento. Perché va male? Ci siamo seduti e l’ho fatto io per primo». Il problema non è che Campedelli l’abbia fatto per primo. Ma che tutti i giocatori lo facciano regolarmente soprattutto dal 70° in poi, quando età media e preparazione atletica rivedibile sconsigliano una sana attività fisica qual è quella pedatoria. E infatti…

Ritorna l’utilissimo e interessantissimo Mobility Day, quell’iniziativa che preserva dal traffico una zona già di suo a traffico limitato, per intasare di automezzi e scarichi il resto della città. La minaccia è quella di estendere l’inutile limitazione pure a Comuni limitrofi alla città, perché è giusto che non siano solo i cittadini veronesi a pagare il conto. L’iniziativa è puramente simbolica (un giorno senza auto qui sì e là no), non serve a nulla ma si replicherà, salvo il fatto che “serve una pianificazione”, ha detto l’assessore alla viabilità Luca Zanotto. Se pianificando trovano pure un senso, meglio. Poi, ci aspetta il Vinitaly Day, quel bel periodo che Verona Sud sopporta in termini di code, traffico, inquinamento, mancanza di parcheggi. Oddio, non che gli altri giorni…

Chiunque sia transitato sopra il ponte sull’Adige tra Rivalta e Peri, sa che si prova un brivido: quello di giungere dall’altra parte sani e salvi. Perché il manufatto, che ha “solo” 75 anni, si presenta da molto tempo in condizioni – per così dire – precarie. Dà sempre l’impressione di stare su con lo scotch. In teoria non ci vorrebbe un’era geologica per rifarne un altro. È l’unico ponte transitabile da Avio alla Sega di Cavaion. Non si chiede un novello Brooklyn, ma almeno una robetta sicura e ben fatta. Le ultime notizie – riportate dal quotidiano L’Arena – dicono che ci sono speranze (sempre le ultime a morire) che sia realizzato uno nuovo entro quattro anni. Poi, nell’articolo a fianco, si parla dell’idea di un ponte tibetano (sapete, quelli di corda e poco altro che ti fanno attraversare qualche burrone, e perdere un paio d’anni di vita per lo spavento) appunto sull’Adige, dalle parti di Rivoli. Attenzione ad accostare due notizie così. Che poi va a finire che di ponte nuovo ne fanno uno solo. Tibetano. E vederci passare sopra i trattori sarà tutta da ridere.

Dieci righe in cronaca. Di cosa si tratta? Di un camionista ucraino, si è sentito male alla Bassona ed è morto. Bah, mettiamole di taglio basso. Giusto. Nemmeno il nome per salutare per sempre un quarantenne proveniente da un Paese lontano lontano, che si trovava in un piazzale della Bassona con il suo automezzo e si è sentito male. Una fitta al petto, il disperato tentativo di alcuni autisti che erano lì posteggiati di prestargli soccorso, l’arrivo dell’ambulanza per strapparlo dalla morte e pure di una volante della polizia per portare prima possibile una strumentazione salva-vita. Non ce l’hanno fatta, se ne è andato a tremila chilometri da casa, da solo, in un parcheggio, lontano dagli affetti, per finire in dieci righe di cronaca di qualche giornale locale. 

Ma il surriscaldamento globale??? Ma la desertificazione di Badia Calavena??? A un centimetro dalla primavera fa ancora un freddo cane, il termosifone – ahinoi – rimane acceso e gli unici contenti di un marzo in cui o piove o fa peggio sono Vladimir Putin che ci vende il gas e l’Agsm. Qui rischiamo di rivedere i mammut, altro che palme da dattero al Branchetto! E la primavera deve fare la primavera, o che la paghiamo a fare? Ci sono i mercatini all’aperto, i vivai che scalpitano, le sagre incombenti, le biciclettate sul nastro di partenza, le piante che non sanno più se far spuntare le gemme o far cadere le foglie che non hanno. Quindi basta così: l’extracomunitario burian se ne torni a casa sua che non lo vogliamo, ci servono 13 gradi per mettere la pianta di limone in terrazza. Ha aspettato troppo lei, abbiamo aspettato troppo noi.