Grande attesa, dicono, per l’arrivo di Matteo Salvini e Luigi Di Maio in quel di Verona, a bere goti di vino al Vinitaly e soprattutto a farsi tanto fotografare. Che poi Salvini la faccia da goti ce l’ha, l’altro molto meno. Si profetizza che, davanti ad un bicchiere di Amarone, i due finalmente si mettano d’accordo e facciano un bel governo, ad alta gradazione alcolica. Una soluzione che li farebbe felici entrambi; molto meno Silvio Berlusconi, che con i 5 Stelle ha qualche (reciproco) problema e che un simile brindisi gli risulterebbe più amaro che Amarone. Chi berrà vedrà.
Domani, mercoledì 11 aprile nella sede della Società Letteraria vicino piazza Bra, alcuni protagonisti di allora racconteranno “il nostro Sessantotto”, a cinquant’anni di distanza dal mitico anno che cambiò l’Italia (dicono). Sarà un pomeriggio (si inizia alle 17, ci saranno il sociologo Maurizio Carbognin, il giornalista Lorenzo Reggiani, l’ingegner Alberto Sala) brevissimo, riassumibile in una frase che accomunerà tutti i partecipanti: il 1968 è stato bellissimo perché avevamo vent’anni. Oggi, ricordi e reumatismi.
È arrivata nella sede della Federcalcio una lettera inviata ufficialmente dalla società di calcio ChievoVerona. Si chiede di cambiare una semplice regola delle partite di campionato: esse non dovranno durare più 90 minuti, bensì 85. Se poi si volessero fare le cose in grande, ebbene: che durino al massimo 70 minuti, 60 sarebbe ancora meglio. Sessanta minuti in tutto, e campionato finito a dicembre: così il Chievo può addirittura giocarsi lo scudetto…
Delocalizzazione: raccontata da un manager italiano andato qualche tempo fa in Pakistan ad installare un macchinario industriale. In un capannone che lasciamo perdere, fa presente al “capo” che ci sarebbe bisogno di un interruttore. No problem, ed esce fuori una roba che nemmeno in Italia negli anni Cinquanta. Quattro mazzate nel muro, si fa un buco e si collegano i fili. Sì, ma deve stare su. No problem: due cazzuole di malta, e un “addetto” chiamato alla bisogna perché con la mano tenga fermo l’interruttore. Finché la malta non si asciughi…
In Russia hanno inventato un automezzo che ripara le buche sull’asfalto in soli cinque minuti. Un successo strepitoso, da subito. La società che l’ha realizzato è stata sommersa di richieste dall’Italia, dove le strade sono ormai in condizioni pietose (pure certe autostrade: la prima corsia della tangenziale nord di Milano sembra un sentiero di guerra). Pure Verona l’ha voluta, e stava arrivando e avrebbe già iniziato a lavorare, se non fosse che in corso Porta Nuova è caduta in un cratere e ha bucato le gomme…
Non si capisce perché non sia possibile rifare lo stadio Bentegodi dov’è ora. Lo si butta giù in dieci secondi con delle belle cariche di dinamite; qualche mese per portare via le macerie; un annetto per ricostruirlo perfetto, da 25mila posti, pagato magari dalle società calcistiche che poi lo utilizzerebbero come meglio aggrada loro. I parcheggi ci sono, la vicinanza alla stazione e alla tangenziale, pure. Dice: ma i tifosi, che faranno nel paio d’anni che servono per rifare il new Bentegodi? Boh, si può chiedere in prestito l’impianto di Mantova o quello di Vicenza; tanto, per le squadre locali che giocano lì… E se è per i supporter che ha il Chievo, e che facilmente avrà l’anno prossimo l’Hellas, potrebbe bastare pure il campo da calcio di San Massimo.
Chi ha fatto Pasqua e Pasquetta a casa, col sole che c’era? Solo i matti. Letteralmente. Quelle persone che sono solo un costo, che non guariscono mai, e che quasi mai votano. Un problema sociale, come dicevano i nazisti che infatti con loro avevano sperimentato un’efficace quanto drastica ricetta taglia-costi. Non risulta che nessun leader politico se ne sia venuto fuori in campagna elettorale affermando: con me, questi ultimi diventeranno primi, e non veramente gli ultimi di questa società. Dello scarto, come la definisce un illustre esponente religioso vestito di bianco. Un matto, se pensa che i matti non siano solo pesi ma persone.
«Insegnateci il senso del limite, da soli non siamo in grado», avrebbe detto una studentessa ai ricercatori che scoprivano l’acqua calda, e cioè che per i ragazzini d’oggi lo smartphone è peggio della droga. Bah… Avrà avuto un momento di (rara) lucidità, perché l’esperienza personale insegna che – dagli 11 anni in su – i giovanissimi non abbiano alcuna voglia di limitarsi almeno un po’. Instagram, la parola magica. Verrebbe voglia di scrivere tutte le cose che si dicono ai figli (“la vita vera è altro!”, “spegnilo!”, “ai miei tempi…”), ma – sempre per esperienza personale – non serve letteralmente a nulla. La cosa peggiore è un’altra: mentre si sermoneggia con la figlia su quella protesi della mano chiamata smartphone, lei ti secca in un nanosecondo facendoti notare i genitori dei suoi amici: tutti intenti a chattare con altri su quanto sia luminoso il sole e quanto sia respirabile l’aria. Con la testa china sullo smartphone che non abbandonano mai, come i figli. Quindi sono i ragazzini i “drogati” dal cellulare?
Avete notato che, quando le scuole a Verona sono aperte, il traffico assomiglia a quello di Caracas, mentre quando c’è vacanza la circolazione si fa calma come a Portobuffolè? Quindi, al netto di piogge, lunedì, fiere e quant’altro, il colpo di grazia lo danno i nostri figli che vanno a scuola. Anzi noi che li accompagniamo, mettendoci pure la scia di bus provenienti da ogni dove. Siccome il problema delle scuole è ineliminabile – anche se, per la quantità di asini che sfornano, qualcosa si potrebbe pur fare anche lì –, forse gioverebbe procedere per la strada che ormai tutti indicano come più intelligente: orari diversificati d’ingresso, prima le elementari e le medie, più tardi le superiori. Basterebbe mezz’ora, un piccolo passo per il sistema scolastico veronese, un grande passo per l’umanità scaligera. Non lo faranno mai.
Una delle tante opere nate sulla carta, morte sulla carta: parliamo della cosiddetta Nogara-Mare, una bretella autostradale che avrebbe dovuto congiungere appunto Nogara (e Mantova) alla nuova Romea (che anch’essa vegeta da anni nel limbo). Per carità: avrebbe congiunto metropoli come Casaleone, Castelguglielmo, Pontecchio Polesine, Gavello… Il sospetto che non fosse l’autostrada più attesa nel mondo occidentale sorgeva abbastanza spontaneo. Ci fosse stata, avrebbe fatto comodo alla nostra Bassa. Ma i soldi? Ecco, su quelli i sogni sono morti all’alba. Zaia, che Nogara la deve individuare con il Gps per capire dov’è, ha detto no no no. Abbiamo un’assessora veronese (della Bassa!) ai lavori pubblici, che l’ha seppellita dicendo: non si discute l’utilità dell’opera, ma la sostenibilità economica. Beh, se ci passassero 100mila automezzi all’ora, la sostenibilità economica non sarebbe più un problema, e l’utilità sarebbe stata sicuramente maggiore…