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I cimbri, ultimi mohicani

di MARTA BICEGO
Una cultura che viene da lontano e che da 50 anni il Curatorium... 

I cimbri, ultimi mohicani

di MARTA BICEGO
«Un presidio culturale attento alla propria terra». Bastano poche parole a Vito Massalongo, presidente del Curatorium Cimbricum Veronense dal 2005, per riassumere mezzo secolo di incontri, manifestazioni, feste, viaggi, attività e collaborazioni portate avanti con la «tenacia dei montanari» sotto l’egida dell’associazione nata per custodire il patrimonio storico e la cultura della lingua cimbra. «Nel tentativo – spiega – di far emergere quel senso di appartenenza alla Lessinia, di rinverdire nei propri luoghi, nelle contrade e nei paesi l’amore e il rispetto per la propria storia millenaria, la propria lingua ormai dimenticata, le proprie tradizioni da conservare gelosamente».
Facile? Tutt’altro. Ecco perché un anniversario come quello dei 50 anni – che è stato celebrato con orgoglio a Bosco Chiesanuova nella 34ª Festa dei Cimbri – assume oggi un significato particolare. Considerare l’oggi e guardare al futuro, avendo però ben presente il passato. Quelle radici mantenute salde nel terreno grazie all’opera, all’impegno e all’ingegno, alle conquiste di diverse persone che hanno fatto parte e fanno tuttora parte del sodalizio. Volti, aneddoti, scritti e fotografie che compongono l’ultimo numero di Cimbri/Tzimbar (Gianni Bussinelli editore): rivista da leggere e conservare che, come era doveroso, celebra in oltre 180 pagine il cammino affrontato dal Curatorium.
Quella firma a Verona
Municipio di Verona, 4 giugno 1974, era sindaco Carlo Delaini. Nasceva allora l’Istituto di studi e ricerche degli insediamenti umani, del patrimonio storico e della lingua cimbra nell’arco alpino, denominato Curatorium Cimbricum Veronense, con sede a Giazza di Selva di Progno. Tra i firmatari c’era il linguista Gianni Rapelli (venuto a mancare nel 2019). Allora redattore alla Mondadori, che da esperto glottologo si era cimentato nello studio dei cognomi originari dei XIII Comuni, era stato coinvolto nella nascita del sodalizio come aveva raccontato proprio in un numero della rivista.
Con lui c’erano, tra i fautori dell’associazione: il vicesindaco Alberto De Mori, insegnante di latino e greco al Maffei; l’insegnante di Giazza, Antonio Fabbris; l’esponente del Cenacolo di poesia dialettale, insegnante e sindaco di Badia Calavena, Giovanni Faè; Piero Piazzola, insegnante a Campofontana e presidente del Curatorium dal 1993 al 2002; Giovanni Tassoni, esperto di tradizioni popolari. Ma soprattutto Hugo Resch. Quest’ultimo, nel 1945 era arrivato in Italia su incarico del governo per collaborare al rimpatrio dei prigionieri italiani dalla Germania. Nel 1970 Resch aveva fondato l’associazione Zimbernkuratorium dedita alla lingua e alla cultura dei Cimbri e nel Veronese, nell’abitato di Giazza, aveva rintracciato “un’isola” in cui si parlava ancora “uno strano dialetto tedesco”.
Iniziative importanti
«Sapevo che a Giazza tauschavano, che erano gente particolare e parlavano una lingua strana che sembrava fatta apposta per non farsi intendere», continua Massalongo, in un excursus dei suoi tre decenni alla guida del Curatorium, di cui aveva conosciuto le attività da assessore con delega alla Cultura presso la Comunità montana della Lessinia. Prima di questo incarico, racconta un aneddoto che gli era capitato nel 1991 in ospedale a Tregnago, quando un paziente di Giazza si mise a parlare con la sorella in cimbro: si trattava di uno stratagemma per confidare dove aveva nascosto i suoi risparmi, senza farsi capire dalle altre persone con cui condivideva la stanza.
Gli anni Novanta furono d’ispirazione per importanti iniziative ideate dall’associazione: la Festa dei Cimbri, il Film Festival della Lessinia arrivato alla trentesima edizione, la Festa del fuoco. Del 2017 è la consegna alle stampe del Vocabolario comparato che raccoglieva oltre 2mila lemmi del Cimbro dei XIII Comuni. Molteplici tappe rese possibili, sottolinea Massalongo, grazie alla determinazione e alla tenace volontà di far crescere la montagna che ha animato i fondatori del Curatorium. Di far crescere la Lessinia, osserva, «con la sicurezza di dare un contributo decisivo alla scoperta della sua storia, della sua cultura, non sempre conosciuta e apprezzata, della sua lingua ritenuta ostica, parlata da gente chiusa e grezza, segnata da un’incipiente decadenza e destinata a scomparire, sopraffatta dalle lingue più diffuse, sostenute dall’economia mondiale, dalla tecnologia e dall’informatica».
Cinquant’anni, dunque, «però siamo ancora qua. Con tanta determinazione, con tanto entusiasmo». E una inossidabile convinzione: «Ho cercato, attraverso questa associazione – conclude il presidente –, di dare un piccolo contributo alla salvezza e alla considerazione di questa nostra Lessinia, che per me resta una parte del cuore, la nostra Heimat, la nostra anima». Dunque, lunga vita al Curatorium Cimbricum Veronense! 

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