Da quei "pionieri" in Sudafrica 50 anni di impegno missionario
di MARTA BICEGO
Tutto prese le mosse dalla venuta a Cerro Veronese di padre Lino Vinco
di MARTA BICEGO
Una mano nera che stringe una mano bianca, non solo per accorciare le distanze tra Paesi lontani ma per mantenere saldo un legame di vicinanza. Uno slogan: “Conoscere per amare”. È passato mezzo secolo dalla nascita, a Cerro Veronese, del Gruppo missionario e le radici di questo sodalizio continuano a crescere nel terreno della Lessinia.
Ad aprire l’album dei ricordi, a nome delle tante persone che hanno contribuito a far maturare questa bella esperienza di volontariato, è Roberto Prati. Era un ragazzo quando nel 1970 il parroco don Tullio Ferrarese raccolse la possibilità di avviare una collaborazione missionaria che unisse il paese scaligero all’Africa. Voleva essere un modo per rendere concreto quell’amore, infinito e capace di superare gli ostacoli, descritto nel Vangelo. Importante fu, all’epoca, il passaggio dalla parrocchia di padre Lino Vinco: «Un giovane missionario stimmatino, oriundo di Cerro, che stava per recarsi nella missione di Brits, in Sudafrica», ricorda. C’era bisogno di portare aiuto a quelle popolazioni lontane e fu la scintilla che, nel gennaio 1973, portò alla nascita del Gruppo missionario.
«O pochi o tanti cercate di andare»
Compie un passo indietro nel tempo, Prati, per ricordare alcune tappe che servirono a porre le basi di tutto. In particolare, l’intervento di padre Pietro Marchesini, allora superiore dei padri missionari stimmatini, che propose di trascorrere un mese in Africa per vedere, da vicino, il sistema di vita locale e capire cosa si poteva effettivamente fare. «O pochi o tanti cercate di andare e quando ritornerete, sentirete che sarà un’altra cosa», esortò il religioso. In effetti fu così. Una prima “mini-spedizione” si tenne nell’aprile 1971: a partire per Brits furono don Tullio, assieme a Loredana Dal Corso e a Raffaella Vinco. Nel frattempo, dalla voce dei giovani, la proposta raggiunse presto le case del paese e quella di Prati, dove il padre Gino con la sorella Emilia furono tra i protagonisti della prima, storica trasferta in terra africana immortalata in una fotografia in bianco e nero. Per partire, però, servivano risorse e la cittadinanza si mobilitò per mettere insieme la cifra necessaria: i progetti da realizzare erano tanti. Pure l’entusiasmo.
La prima chiesa un piccolo miracolo
«Non fu semplice», ripete Prati, geometra di professione, ripensando alle imprese portate a termine con mezzi di fortuna e alle lire faticosamente racimolate per rendere possibili i viaggi. Il 3 gennaio 1973 partirono in quattordici dall’aeroporto milanese di Linate. Volontari-operai, uomini e donne infaticabili, che costruirono in tempi record il seminterrato della chiesa di Mothtlung. Aziende italiane del posto contribuirono alla realizzazione dell’opera e delle altre che seguirono, mettendo a disposizione attrezzature e materiali necessari alla costruzione. Accadde un piccolo miracolo, che diede la spinta per continuare nei decenni a venire. Nel racconto, ritorna spesso il nome di don Tullio, «figura carismatica dal grande entusiasmo. Ha creduto che laggiù avremmo potuto fare qualcosa»: venuto a mancare nel 2017, è sepolto nel paese in cui restò parroco per quarant’anni. Ma tante altre sono le figure di religiosi che si dovrebbero elencare: per esempio padre Gianni Piccolboni, attuale superiore degli stimmatini, giusto per segnare una tappa recente di questo lungo cammino solidale.
Radici profonde di solidarietà
Dopo la prima trasferta, varie tappe. Delegazioni africane raggiunsero Cerro, accolte dal paese in festa, come fissato nelle memorie e in vari scatti. Nel gennaio del 1976 sette volontari volarono a costruire la chiesa di Maboloka, situata a 33 km da Brits, che fu completata l’anno successivo da cinque persone e inaugurata in giugno. C’era un contagioso fermento, accompagnato da convegni per mantenere alta l’attenzione sul valore della missione. E da raccolte fondi, radunando carta straccia e ferro, per poter inviare in Africa risorse economiche, abbigliamento e attrezzature come macchine da cucire da donare alle popolazioni. Tredici operai partirono, nel gennaio del 1978, per costruire sulle precedenti fondamenta la chiesa di Mothtlung, inaugurata il 12 febbraio. Nel 1979 fu innalzata una casa delle suore a Jericho e si completarono le due chiese di Aasvogelboom e Stakaneng. Nel 1980 fu realizzato un asilo a Maboloka; l’anno successivo alcuni volontari andarono a Pretoria per edificare la chiesa di Ga-Rankuwa e le case degli anziani poveri a Ten Morgen. Sorsero dal nulla altri edifici sacri a Jericho e Kgabalatsane (1982), a Ga-Rankuwa (1983), oltre a svariate opere sociali: stanze multiuso a Jericho e Pretoria nel 1984, chiesa e campanile a Mmopudung nel 1985; salone parrocchiale a Lethlabile di Pretoria nel 1987 dove, due anni dopo, trovò sede una cappella dedicata a San Zeno. Un’instancabile attività ispirata dalla fede
Un’instancabile attività, sempre ispirata dalla fede
Nell’impegno di un centinaio di volontari-operai, accompagna fino agli anni Novanta e scandisce i decenni successivi. Con una fiammella tuttora accesa. Nel 2019, riferisce Prati, «è stata organizzata una spedizione in Sud Sudan per vedere dov’è sepolto don Angelo Vinco». È il missionario, esploratore e geografo vissuto tra il 1819 e il 1853, che rappresenta un’ulteriore testimonianza della operosa generosità germogliata tra le montagne veronesi. Altro simbolo è il mattone in marmo nero che, nella parrocchiale, reca la scritta “Cerro – Brits”. Monito a non dimenticare quanto è stato reso concreto in cinquant’anni. E a proseguire. Tuttora, a Pasqua e Natale, il ricavato della distribuzione di uova di cioccolato e panettoni da parte del Gruppo missionario di Cerro viene destinato alle missioni africane. Una goccia che non smette di cadere nel grande mare della povertà dell’Africa.
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