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L’8xmille entra in Casa Misericordia e accoglie le donne che bussano

di REDAZIONE

Una casa pensata da Caritas diocesana veronese negli anni ’90, oggi aiutata anche dall'8xmille

L’8xmille entra in Casa Misericordia e accoglie le donne che bussano

di REDAZIONE

Nel centro di Verona c’è una casa per donne che attraversano periodi di difficoltà. Una casa pensata da Caritas diocesana veronese negli anni ’90 con lo scopo di accogliere tutte coloro che stavano attraversando delle difficoltà: abitative, lavorative, vittime della tratta, di violenza famigliare, con problemi psichiatrici, ma anche vittime della prostituzione, ragazze prive di documenti o ammalate. Il nome della struttura da sempre è Casa della Misericordia e solo nel 2000 ha cambiato destinazione, con Caritas che ha rivalutato quali fossero le urgenze del territorio.

A parlarcene è suor Luisella Barberini, delle Sorelle della Misericordia e referente della casa. «Oggi, anche grazie al sostegno dell’8x1000, siamo concentrati maggiormente su donne profughe, studentesse senza lavoro, ammalate non più curabili nel proprio Paese di provenienza, badanti che per vari motivi hanno perso il lavoro e non sono in grado di tornare nelle proprie famiglie».

– Qual è l’obiettivo del progetto?

«Il principale obiettivo, oltre a quello di far sentire le ospiti a proprio agio, accolte, amate, al sicuro, è quello di comprendere le problematiche di ciascuna e valutare, insieme anche alle assistenti sociali e psicologhe della Caritas, quali possono essere i passaggi più urgenti per sistemare la situazione: dichiarazione di ospitalità, documenti, permesso di soggiorno, ricerca di un lavoro, cure mediche. Attraverso consigli, suggerimenti, interessamenti, le ospiti riacquistano la fiducia in se stesse, nelle proprie capacità ed è un successo per tutti quando trovano un lavoro, sistemano i documenti, iniziano una cura per recuperare la salute».

– Per voi significa accompagnare a 360 gradi la vita di ogni persona accolta…

«Tutta la comunità partecipa alle gioie e alle sofferenze di ciascuna e, avendo Casa della Misericordia una capienza di appena dieci posti letto, si crea in casa un clima di famiglia, di interessamento sincero, di aiuto reciproco. L’obiettivo è raggiunto quando una nostra ospite, trovato un lavoro con contratto, con i documenti in ordine, o trovato un alloggio, lascia la struttura e prende il volo in assoluta autonomia».

– Con quali mezzi riuscite a far funzionare il progetto?

«Cibo, biancheria, équipe di lavoro, insomma tutto ciò che è a disposizione della Caritas per il progetto è fornito dalla Provvidenza. Poi la Casa è sostenuta anche grazie al finanziamento dell’8x1000 alla Chiesa cattolica».

– E voi Sorelle della Misericordia che affiancate l’equipe educativa della Caritas, come vi approcciate con le persone ospitate?

«Il metodo di lavoro è quello che ci suggerisce la carità di Cristo, l’accompagnamento personalizzato, l’ascolto, il dialogo, il consiglio, il suggerimento, la ricerca insieme delle soluzioni più adatte, le indicazioni precise sulle persone a cui far riferimento per affrontare problemi che esulano dalle nostre competenze, come quelli sanitari o giuridici. La struttura è in costante contatto con i Servizi sociali del territorio, ma anche con Questura, Prefettura, Cesaim, Sportello Cittimm, Comune di Verona e altre associazioni attive sul territorio».

– Cosa offre la Casa e quali regole ci sono?

«La Casa è fornita di una piccola biblioteca, di un pc e di una rete wi-fi. Come in tutte le comunità è indispensabile osservare il silenzio nelle ore notturne per dare la possibilità a tutte di riposare e comunque nei corridoi delle camere è preferibile parlare sottovoce. Non essendoci un servizio di portineria, ad ogni ospite sono consegnate le chiavi di casa: è un grande gesto di fiducia che auspica una risposta responsabile. Le camere singole non sono molto spaziose, ma accoglienti nella loro semplicità, arredate con gusto e fornite di lavabo, mentre i servizi igienici sono condivisi tra due ospiti. La Casa mette a disposizione biancheria da letto e da bagno. Ogni ospite è tenuta a mantenere pulita la propria camera e gli spazi comuni perché “conserva l’ordine e l’ordine conserverà te”».

– È uno spazio che favorisce la nascita di amicizie?

«Le ospiti possono usufruire di ampi spazi per stare insieme, per guardare la tivù o per festeggiare qualche ricorrenza. Spingiamo molto perché ci siano momenti di aggregazione, perché è nel diversivo che le persone esprimono meglio se stesse e il loro carattere. In quelle circostanze che si creano sane amicizie indispensabili per vivere serenamente. Ma poi è in cucina che ciascuna si esprime meglio, facendo emergere gusti, sapori, profumi tipici della propria nazione».

– È una casa multietnica?

«Attualmente le dieci ospiti sono di nove nazionalità diverse. Ucraina, Georgia, Moldavia, Romania, Tunisia, Marocco, Brasile, Togo, Italia e tutte sono libere di cucinare il proprio piatto preferito. È qui che riaffiorano i ricordi, le ricette della mamma, della nonna, le caratteristiche del proprio Paese e dai colori dei cibi, dai profumi, dai sapori c’è per tutte un tuffo nel passato, nell’aria di casa, nella nostalgia dei propri cari».

– Come si accede alla casa?

«Ci sono vari modi. Attraverso il Centro di ascolto diocesano in Lungadige Matteotti 8 a Verona, oppure attraverso i Centri di ascolto Caritas territoriali nelle parrocchie, ma arrivano segnalazioni dai Servizi sociali comunali, da altre associazioni o dalla rete in cui siamo inseriti».

– La Casa fa parte del circuito veronese di Rete Donna.

«Rete Donna è un network di enti del privato sociale della Diocesi di Verona che, a diverso titolo e per vari livelli di bisogno, offrono assistenza a donne e madri in situazioni di difficoltà. L’obiettivo della rete è creare connessioni tra strutture, servizi ed enti, al fine di affrontare in modo più efficiente il disagio femminile presente a livello locale. I principi della rete sono la valorizzazione della persona, la sussidiarietà rispetto all’ente locale e ai valori cristiani. Infine, tra le azioni che la rete porta avanti vi sono la formazione congiunta degli operatori delle varie strutture di accoglienza».

– Quali sono i momenti più difficili nel lavoro all’interno del progetto?

«L’attenzione più grande è per i momenti di cedimento, quando la persona vede che ogni tentativo è vano, che un lavoro sfugge perché ancora non c’è il permesso di soggiorno, che un locale che potrebbe essere affittato invece sfuma perché a una persona di colore non lo danno. Tanti sono i motivi di sconfitta e di abbattimento psicologico e a volte fisico. Organizziamo vari momenti di verifica, ma anche di incoraggiamento, per non lasciare intentate tutte le vie e per far recuperare la stima di sé nonostante le sconfitte esteriori che non intaccano l’integrità della persona e che non dipendono da lei».

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