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L'Aida di de Bosio: datata ma sempre affascinante

di MARIO TEDESCHI TURCO

La celeberrima opera verdiana viene riproposta in Arena nello storico allestimento del regista veronese nel centenario della sua nascita

L'Aida di de Bosio: datata ma sempre affascinante

È mancato il 2 maggio di due anni fa Gianfranco de Bosio, grande uomo di teatro veronese, e giustamente la Fondazione Arena ha scelto di ricordarne l’opera in questo 2024 che è il centenario della sua nascita. L’ha fatto organizzando un pomeriggio di studio (che è purtroppo stato rimandato all’ultimo momento per cause di forza maggiore) e soprattutto attraverso una ripresa della sua Aida “filologica”, che abbiamo rivisto in prima di stagione il 10 agosto, basata com’è su tutto il materiale disponibile della prima edizione areniana del 1913, con scenografie di Ettore Fagiuoli (disegni, fotografie, appunti). Questo storico allestimento di ricostruzione andò in scena la prima volta nel 1982, e da allora è stato più volte riproposto, quale omaggio alla storia del festival ma non solo, quale traccia museale viva di un modo di intendere lo spettacolo operistico antico, soprattutto nel suo aspetto scenografico. Si tratta di una messa in scena, come noto, magniloquente, statica, colossale, piena di luci e colori, in un panorama egizio che puoi vedere nei dipinti tra Otto e Novecento, oppure in taluni film, dal muto fino al peplum degli anni Sessanta, per dire quanto quel tipo di décor abbia plasmato l’immaginario collettivo: volutamente datata, quindi, essa costituisce tuttavia un tassello essenziale della storia scenografica, e proprio per questo è da vedere almeno una volta nella vita, per meglio capire nella giusta prospettiva alcuni dettagli della regia operistica del passato, e per meglio godere oggi della differenza di concetto e pratica tipica del contemporaneo. L’idea di massima, in questo caso, è che il dramma stia tutto nella musica, e ad essa è quindi demandato ogni dettaglio narrativo, psicologico, di relazione interpersonale: i cantanti sono pressoché immobili, o comunque bloccati in una gestualità ieratica, stilizzatissima secondo prassi appunto antica, semplice traccia visiva di quanto realmente accade, che è tutto nella trama sonora, nei timbri diversi dell’orchestra, nelle transizioni armoniche, nella melodia del canto. Movimento, dinamismo, spettacolo lo trovi solo nel fasto massimo delle scene, laddove è soprattutto nel trionfo che si celebra una specie di tourbillon colossale, con decine e decine di comparse, movimenti coreografici (splendida la prima ballerina Eleana Andreoudi), cavalli addestrati, il tutto all’insegna di quello che oggi chiamiamo kitsch, ma che all’epoca della sua prima realizzazione era un portato estremo del naturalismo scenico da un lato e, dall’altro, del desiderio di creare stupore e meraviglia, lo stesso che oggi affidiamo agli effetti speciali cinematografici. Si tratta di un’opzione forse ostica da accettare oggi, naturalmente, ma in sé ci pare quanto mai stimolante per concentrare l’attenzione appunto sulle linee astratte della musica. E così è stato: Daniel Oren ha diretto con mano sicurissima l’insieme, senza mai uno scollamento tra buca e palco, sempre a spingere il canto, a concertarlo con precisione, fuoco, lirismo acceso, con tempi prevalentemente serrati ma con il giusto indugio estatico dove serve, e quindi soprattutto accompagnando Aida. Che è stata Maria José Siri, cantante di alta professionalità, intonatissima, sicura negli acuti, ma piuttosto generica nell’espressione, così come l’Amneris di Ekaterina Semenchuk, che però ha cantato un quarto atto con altissimo coinvolgimento drammatico, riscattando quindi una prova che fino a quel momento era stata corretta ma anodina. Il cast vocale è stato invece certamente dominato dal timbro ammaliante e dallo squillo argentino di Piotr Beczala, finalmente un Radamès eroico a tutto tondo, certo il migliore udito negli ultimi dieci anni all’Arena. Il tenore polacco è ben noto a chi frequenti quanto meno la discografia internazionale, e sa come abbia progressivamente affinato i suoi cospicui mezzi naturali nel corso del tempo, grazie a uno studio costante e una rifinitura tecnica la quale, soprattutto nel fraseggio e nella pronuncia, è giunta a un livello davvero ragguardevole. Così, Radamès è stato restituito nel complesso ritratto ordito da Verdi, tra impeto guerresco, responsabilità politica, folle romanticismo amoroso, un personaggio finalmente degno di affiancare le due leonesse che, per solito, reclamano a sé sole la centralità del dramma. Se si aggiungono un Amonasro interpretato da Luca Salsi con durezza controllatissima, a scolpire la parola scenica verdiana con brillante proprietà stilistica, e tutte le parti di contorno perfettamente sintonizzate sul tono di alta tragicità realizzato da direttore e protagonisti, si avrà il quadro completo di una recita pienamente appagante.

Repliche 18, 22, 29 agosto e 5 settembre, con vari cambi nel cast.

(nella Foto Ennevi una scena di Aida)

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