Un condominio solidale per donne in difficoltà con figli
di REDAZIONE
La “Casa Santa Elisabetta” di Verona è una delle opere protagoniste della campagna sull'8xmille della CEI
di REDAZIONE
"Se fare un gesto d’amore ti fa sentire bene, immagina farne migliaia”. Questo il claim della nuova campagna di comunicazione 8xmille della Conferenza Episcopale Italiana, che mette in evidenza il significato profondo di un semplice gesto che permette ogni anno la realizzazione di migliaia di progetti in Italia e nei Paesi in via di sviluppo.
La campagna sottolinea la relazione tra la vita quotidiana degli italiani e le opere della Chiesa, attraverso la metafora dei “gesti d’amore”: piccoli o grandi gesti di altruismo che capita di fare nella vita e che non fanno sentire bene solo chi li riceve, ma anche chi li compie.
Attraverso una semplice firma, quella per l’8xmille, è possibile moltiplicare ogni giorno la sensazione di benessere che si prova quando si fa un gesto d’amore. Come fa la Chiesa quotidianamente attraverso i suoi interventi arrivando capillarmente sul territorio a sostenere e aiutare chi ne ha più bisogno: poveri, senzatetto, immigrati, ma anche italiani che attraversano momenti di difficoltà.
Come quelli che hanno incontrato famiglie bisognose e donne sole con figli minori, in emergenza abitativa, prima di essere accolti a Casa Santa Elisabetta, opera della Caritas diocesana di Verona. Non solo persone provenienti da situazioni di fragilità pregresse ma anche donne cadute improvvisamente in una situazione di grande difficoltà economica per la perdita della fonte di sostentamento primaria e la difficoltà a rientrare nel mercato del lavoro o a causa di una separazione e in assenza di reti familiari a supporto.
Situata nel cuore di Verona all’ombra di Castelvecchio, la Casa, sorta all’interno di una parte di monastero trasformata in casa d’accoglienza, è un luogo nel quale si sperimentano l’ascolto e l’aiuto reciproco. Otto alloggi autonomi accolgono i nuclei familiari che qui ritrovano una tranquillità abitativa e vivono relazioni di amicizia e mutuo aiuto. Una sala con divani e libreria e una corte esterna permettono di costruire relazioni e trascorrere insieme il tempo libero.
«In un contesto di individualismo diffuso e di crescenti divisioni sociali, Casa Santa Elisabetta offre a tutti coloro che ospita un temporaneo luogo di ristoro – spiega mons. Gino Zampieri, direttore della Caritas –, quasi un’oasi nel deserto, pensata per ridare slancio e speranza a nuclei familiari di mamme con i loro figli. Si tratta infatti di situazioni fragili che necessitano, oltre ad un concreto sostegno materiale, anche di amicizia, vicinanza, solidarietà. Che hanno bisogno di tutte quelle risorse che non sono in vendita né si possono comprare ma che, spesso, risultano indispensabili per superare situazioni di disagio e di necessità".
Casa Santa Elisabetta propone, di fatto, un contesto familiare e comunitario allargato che altrimenti queste persone non sarebbero in grado di avere. «Qui gli ospiti possono sperimentare questa dimensione parentale-comunitaria, imparano assieme a costruirla e, siamo convinti, sapranno anche un giorno portarla nel contesto abitativo nel quale arriveranno a vivere con maggiore stima di sé e una rinnovata fiducia nel prossimo. Casa Santa Elisabetta, in definitiva, è un progetto che si pone nel mezzo tra le esperienze di co-housing e quelle dei condomini sociali, è uno spazio in cui vivere generosamente insieme un’esperienza di familiarità allargata, di socialità solidale», aggiunge mons. Zampieri.
Le donne accolte vengono incontrate, prima del loro ingresso nell’alloggio, per conoscersi ed insieme strutturare il progetto da realizzare nel tempo di accoglienza. Le ospiti firmano anche un “patto di accompagnamento” per raggiungere determinati obiettivi di autonomia. Esso impegna anche i figli: per i minori possono essere attivati dei voucher educativi per fruire di attività culturali, corsi extrascolastici ed altre opportunità formative. «Il patto di accompagnamento – spiega Barbara Simoncelli, responsabile dell'area progetti e coordinamenti di Caritas Verona – mantiene le donne protagoniste attive del proprio percorso, con l’obiettivo di accrescere la propria autostima in un momento di difficoltà».
«L’importanza di quest’opera per la comunità – aggiunge Lucia Di Palma, operatrice – è fare un’esperienza di accoglienza e sperimentare concretamente che aprire le porte è un guadagno. Non c’è da perdere nell’accoglienza, ne vale sempre la pena». La vita del condominio è curata e stimolata dall’operatrice insieme a un gruppo di volontari che svolgono un lavoro di accompagnamento quotidiano; orientano alle opportunità e organizzano laboratori e attività culturali.
«La prima volta che ho visto la casa ero senza parole – racconta Elisa, mamma accolta con i suoi figli –. Non pensavo che stesse succedendo a me. Ero felicissima». «I bambini si sono legati tanto fra loro – aggiunge Ibtissam, un’altra mamma – e stanno giù nella corte a giocare insieme. La cosa bella di questa coabitazione è che ci sosteniamo a vicenda».
Casa Santa Elisabetta è un punto di riferimento anche dopo il termine dell’esperienza, uno spazio ponte tra l’interno e l’esterno in cui si stimolano processi di inclusione e di crescita personale.
«I fondi 8xmille – prosegue mons. Zampieri – rappresentano la risorsa fondamentale che ha permesso di avviare la struttura nel 2018 e che consente di fare fronte alla gestione quotidiana. Grazie ad un contributo di 500.000 euro abbiamo potuto trasformare l’immobile da monastero a casa d’accoglienza. La scelta per destinare l’8xmille è fondamentale perché non è solo una firma; dietro quel gesto ci sono storie personali, c’è un sostegno, una presa in carico, un accompagnamento. Quest’azione del cittadino è importante perché permette di realizzare una lunga serie di attività e servizi. Non costa nulla però rende molto».
Le assistite arrivano tramite la rete Caritas o su segnalazione dei servizi sociali comunali; sono donne che hanno già all’attivo un percorso ma sono prive di una rete in grado di sostenerle. A Casa Santa Elisabetta trovano il supporto necessario per dare un senso alla propria vita e per offrire un’opportunità di inserimento ai propri figli che frequentano la scuola materna e le elementari.
«Chiediamo agli ospiti di essere soggetti del loro percorso – conclude mons Zampieri - e di impegnarsi anche a servizio della collettività. Molti, una volta reinseriti nella società, continuano a sentirsi legati alla Casa e si trasformano da assistiti in volontari. Questa, per noi, è una ulteriore e bellissima vittoria».
L’ospitalità dura al massimo 24 mesi in quanto l’obiettivo dei progetti educativi, realizzati “ad hoc” per ogni nucleo familiare, è quello di permettere loro di riuscire a trovare, alla fine dell’accoglienza, un’altra soluzione abitativa e una maggiore indipendenza. La struttura, che si avvale anche di altre donazioni e contributi per la propria sostenibilità, rappresenta anche un crocevia di iniziative per le persone inserite in percorsi di accompagnamento su vari fronti.
È uno dei luoghi, inoltre, in cui si svolgono gli appuntamenti di Officina Culturale, un progetto della Caritas che spinge ad attivarsi attraverso laboratori/corsi di formazione e che crea spazi di incontro e relazione tra gli abitanti dei quartieri attraverso piccoli eventi e momenti informali.
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