Don Paolo Cagnazzo è sacerdote novello
La testimonianza: “È bello donarmi con libertà e gratitudine al Signore”
Sono tre i novelli presbiteri che l'8 giugno sono stati ordinati in Cattedrale dal vescovo Giuseppe Zenti. Sono don Paolo Cagnazzo, 34 anni, di Monteforte d’Alpone, che ha svolto il ministero diaconale nell’unità pastorale di San Martino Buon Albergo; don Francesco Facchinetti, 26enne della parrocchia cittadina dei Santi Angeli Custodi, nel quartiere Stadio, impegnato in questi mesi come diacono a Santa Lucia Extra; don Michele Marani, 28 anni, della parrocchia di Santa Maria Immacolata, nel quartiere cittadino di Borgo Milano, che ha svolto il servizio diaconale nella parrocchia dei Santi Angeli Custodi. Sono tutti e tre del Seminario Vescovile.
Abbiamo raccolto le loro testimonianze personali. Iniziamo con quella di don Paolo Cagnazzo.
Mi chiamo Paolo, ho 34 anni e vengo da Monteforte d’Alpone... Potrebbe essere questo l’incipit della mia storia: un inizio normale più che banale.
Prima di entrare in Seminario, la parola vocazione mi richiamava alla mente qualcosa di misterioso e un po’ straordinario; forse per questo risultava distante dalla mia vita, quasi una responsabilità riservata a pochi. Poi questo mistero si è affacciato dentro la mia quotidianità. Ricordo bene – e con una certa tenerezza – quando per le vie di Padova, mentre camminavo di corsa per raggiungere l’università, ho incominciato a interrogarmi sul mio futuro. Per anni avevo studiato le lingue antiche, appassionandomi a scoprire dentro alle parole e alla loro storia le tracce dell’identità profonda dell’umano. Ora si trattava di mettere a frutto questa sapienza, ma in quale direzione? Ho trovato nella Chiesa, e in modo particolare nella parrocchia, aiuto e sostegno. Le esperienze di preghiera e di servizio con altri giovani, le relazioni sincere e la testimonianza di preti felici e appassionati mi hanno fatto intuire una possibilità inedita: forse la via del presbiterato era per me, era la mia.
È cominciato così un tempo di discernimento, un cammino di grazia in cui ho riscoperto il volto di Dio e il suo modo di fare storia con ciascuno di noi: un modo normale e non banale.
Guardando con gli occhi dello Spirito alla mia vita non potevo non accorgermi dei segni della sua presenza, discreta eppure inconfondibile. Abbandonandomi a Lui con fiducia e libertà, non potevo non fare esperienza del suo amore, capace di trasformare il mio peccato perdonato in segno vivo della sua misericordia. Incontravo così, forse per la prima volta, un linguaggio nuovo, comprensibile a tutti, la cui grammatica è l’amore fino al dono totale di sé. Ancora una volta, la Chiesa mi ha accompagnato in questa scoperta. Sono grato alla comunità del Seminario, dove è cresciuta tra me e gli altri seminaristi – in particolare i compagni di classe – un’amicizia e una fraternità vere. Lo Spirito Santo, continuamente invocato, ha davvero lavorato dentro di me: si è fatto spazio, pur con delicatezza, e dilatando il mio cuore mi spinge a condividere, testimoniare e annunciare l’amore di Dio per l’umanità.
Il mistero della vocazione, prima tanto impenetrabile, si è diradato. Ora mi sembra una semplice questione d’amore: “caritas Christi urget nos”, è l’amore di Dio che ci possiede e ci sospinge (cf 2 Cor 5,14). Credo che ciò che sono e che sono diventato nasce dall’aver sentito vivo sulla mia pelle l’amore del Signore Gesù: prima di tutto per me, perché Lui ha a cuore la mia vita, ma anche per tutta l’umanità, alla quale desidera comunicare la sua stessa vita. Per me è bello donarmi con libertà e gratitudine a Lui, perché tutta la mia persona possa diventare segno della sua presenza nel mondo. Una presenza normale e mai banale, attraente perché resa capace dallo Spirito di raccogliere in unità la Chiesa e comunicare il perdono di Dio.
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