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Qui Antartide, dove il clima ci sta presentando il conto

di SILVIA ALLEGRI
Uno scienziato testimonia: situazione difficile, pagherà il pianeta 

Qui Antartide, dove il clima ci sta presentando il conto

di SILVIA ALLEGRI
Possiamo davvero dire che è scattato l’allarme del cambiamento climatico? Gli addetti ai lavori non hanno dubbi. Eppure, tra i vari flagelli del nostro tempo, uno è costituito certamente dai negazionisti. Essi sostengono che la scienza non è affidabile e affermano con certezza che si può stare tranquilli ignorando gli appelli degli esperti.
A fornire il loro identikit è il Rapporto Communications-Censis dedicato a “Disinformazione e fake news in Italia” e reso noto qualche mese fa: essi sono ben il 16,2% della popolazione, con percentuali più alte tra gli anziani e i meno scolarizzati. Una scelta di comodo alimentata poi dai contenuti, in continuo aumento, di video su Youtube e altre piattaforme che promuovono fake news climatiche invitando gli ascoltatori a mantenere abitudini di vita scorrette e insostenibili.
La minaccia dell’ignoranza si va a sommare, insomma, al vero pericolo che sta correndo il pianeta, quello del surriscaldamento, che porterà con sé conseguenze drammatiche per tutti gli esseri viventi, umani inclusi. Per capire meglio cosa sta accadendo, abbiamo parlato con uno studioso pronto a dissipare ogni dubbio. Perché Giuseppe Scapigliati, docente di Zoologia e Biotecnologia animale all’Università della Tuscia di Viterbo, racconta ciò che ha visto e studiato durante i suoi numerosi viaggi in Antartide, uno degli hot spot, ossia dei luoghi che determinano gli impatti sugli altri ecosistemi, più importanti del pianeta.
– Prof. Scapigliati, per quale motivo tutti noi siamo strettamente legati all’evoluzione dell’Antartide?
«Alcune zone dell’Antartide che, ricordiamolo, è molto più grande dell’Europa, costituiscono degli indicatori internazionali del cambiamento climatico. L’Antartide influenza il clima di tutto il pianeta per la sua particolare posizione, per motivi fisici e anche per le sue caratteristiche morfologiche: tra questi, l’acqua fredda del continente contiene ossigeno e nutrienti e alimenta tutte le catene trofiche biologiche degli oceani. Quando cambia qualcosa in Antartide, questo cambiamento si amplifica poi a livello planetario».
– Cosa l’ha portata a condurre ricerche in Antartide?
«Ci sono stato la prima volta nel 1998 e ci sono tornato poi regolarmente per studiare la biodiversità animale acquatica, al fine di ottenere informazioni biologiche e biotecnologiche. Nella fattispecie abbiamo ottenuto un antibiotico importante dai pesci dell’Antartide, un risultato correlato al mio ramo di specializzazione, l’immunologia comparata, quindi lo studio delle difese immunitarie degli organismi animali, mammiferi e non. Il mio, come gli altri progetti di ricerca, è finanziato dal Progetto nazionale di ricerche in Antartide del Pnra, Programma nazionale di ricerca in Antartide, un consorzio formato da ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (oggi rinominato ministero dell’Istruzione e del Merito, ndr), Cnr – Consiglio nazionale delle ricerche, ed Enea, ente incaricato di coordinare le attività logistiche in Antartide. L’Italia lavora con due basi. Una, la Concordia, è italo-francese e si trova nel centro dell’Antartide. Si tratta di una base che sorge sopra 4 chilometri di ghiaccio, attiva tutto l’anno, e ospita in inverno tredici studiosi che vivono isolati e senza possibilità di essere raggiunti. Loro sono occupati in studi di Glaciologia, Fisica e Astrofisica, e forniscono dati essenziali sullo spessore del ghiaccio, permettendo così di avere un’idea precisa del clima del pianeta dell’ultimo milione di anni. Un’altra base, la stazione “Mario Zucchelli”, è su un promontorio nella Baia di Terranova, nel Mare di Ross, e viene occupata solo nell’estate antartica, che va da fine ottobre a fine gennaio».
– Trovarsi in Antartide le ha permesso quindi di vedere coi suoi occhi ciò che sta accadendo.
«Durante i miei viaggi ho potuto toccare con mano la realtà: l’anidride carbonica accumulata non è mai stata così alta come adesso in tutto il periodo misurato, che copre quindi millenni e millenni. Essa è presente nell’atmosfera e viene intrappolata nella neve che poi forma il ghiaccio. L’aumento rapidissimo ha avuto inizio a partire all’età industriale e ha subìto un’accelerazione in questi ultimi anni».
– E questo quali conseguenze comporta?
«Trattenendo il calore, il fenomeno del cosiddetto effetto serra, l’anidride carbonica aumenta la temperatura di tutto il pianeta, dell’atmosfera e degli oceani. Questo innesca conseguenze deleterie per la flora e la fauna terrestre e acquatica. In sostanza spariscono moltissime specie, ma soprattutto le specie non sono in grado di adattarsi ai cambiamenti climatici, che si traducono in cambiamenti chimico-fisici dell’ambiente marino. La temperatura più alta implica l’acidificazione degli oceani e un cambiamento delle correnti. In questo modo vengono intaccate le catene biologiche oceaniche».
– Lei lo ha potuto verificare osservando i pinguini e le difficoltà che stanno incontrando.
«Negli ultimi anni si sono staccati pezzi di banchisa antartica grandi come regioni italiane. L’aumento della temperatura porta il ghiaccio marino a scivolare verso la periferia del continente più velocemente e tra le conseguenze più evidenti si osserva la morte dei pinguini. Questi animali vanno a piedi sul ghiaccio e poi si tuffano in mare per procurarsi il cibo. Se il ghiaccio si allontana non fanno in tempo a tuffarsi, cacciare, e tornare indietro dai loro piccoli, la distanza è troppo lunga. Questi eventi non si erano mai registrati prima».
– Ma secondo lei siamo a un punto di non ritorno? «Da scienziato non posso dire che il processo sia irreversibile, ma realisticamente parlando, ammettendo anche di poter smettere di immettere anidride carbonica nell’atmosfera, per ritornare alle condizioni precedenti questo disastro servono secoli. I cicli naturali impiegano un tempo molto lungo per stabilizzarsi e un tempo brevissimo per essere distrutti. Senza un rimedio drastico e rapido, è difficile essere ottimisti».
– Cosa direbbe, insomma, ai negazionisti?
«Mostrerei dati e numeri, non previsioni. Pensi che i pinguini non hanno paura quando vedono noi umani. Per loro i nemici sono nel mare, sono le orche, le foche, i predatori che tendono agguati durante la loro ricerca del cibo. In Antartide, quando si sta seduti all’aperto, capita che ti passino vicino senza la minima reazione di paura, e li ho visti io stesso saltare sui nostri gommoni e tentare di salire in elicottero. Loro non sanno che i veri nemici siamo noi». 

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