La pandemia silente di anziani fragili e delle loro famiglie
di ADRIANA VALLISARI
Quelli con demenze? Sono ancora più soli: l'isolamento ha amplificato disturbi e stress
di ADRIANA VALLISARI
Stremati e smarriti: lo siamo tutti noi, dopo due anni di pandemia. Figurarsi gli anziani fragili e le persone che si prendono cura di loro, custodi invisibili che non fanno notizia. Eppure, in un Paese come l’Italia, in cui si stimano 1,2 milioni di persone afflitte da demenza (ovvero patologie croniche degenerative, con previsioni di crescita consistenti nei prossimi decenni) e tre milioni di caregiver (persone che danno assistenza) familiari, si imporrebbero riflessioni più articolate. «A partire dal parlare di queste malattie senza pregiudizi, facendole conoscere alla comunità e sensibilizzando le famiglie ancor prima che si abbatta su di loro una diagnosi nefasta», sottolinea Maria Grazia Ferrari, presidente dell’Associazione Alzheimer Verona, che dal 1998 aiuta le famiglie impegnate nell’accudimento del proprio caro tra le mura domestiche, fornendo supporto psicologico, consulenze mediche e legali, formazione e servizi gratuiti per far sentire i familiari meno soli.
Sono 17 i Centri sollievo gestiti dall’associazione in città e in provincia, 13 dei quali in collaborazione con l’Ulss 9; si tratta di “Laboratori della memoria” in cui si socializza, si fa stimolazione cognitiva e attività motoria adattata, musicoterapia e proposte manuali. Iniziative che, con la pandemia, sono state trasferite on line o sviluppate con percorsi domiciliari in affiancamento alle famiglie.
«Ci siamo dovuti riorganizzare e, dopo una fase di smarrimento iniziale, abbiamo programmato le attività a distanza, per non interromperle – spiega Alessia Giordani, psicologa dell’associazione –. Abbiamo attivato una linea telefonica (tuttora attiva: 348.6373776, ndr) per dare supporto psicologico e strategie per la gestione del malato. Noi professionisti e volontari siamo stati messi a dura prova, ma con coraggio ci siamo reinventati; più complicata è stata la situazione sul fronte della salute delle famiglie, perché di punto in bianco è venuto a mancare il sostegno a cui erano abituate, causando un aumento dei livelli di stress e dei carichi assistenziali».
L’associazione ha mappato le criticità e i bisogni emersi, sottoponendo un breve questionario a 200 famiglie, nel 2020 e nel 2021. L’iniziativa – illustrata nel corso di un interessante e articolato convegno on line, sabato scorso – è stata inserita nel progetto “Covid-19 e anziani fragili: nuovi orizzonti contro la solitudine”, finanziato dalla Regione con fondi del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali. «Gli intervistati sono stati al 70% i figli, perlopiù donne (79%), residenti a Verona e provincia: persone che vivono con il genitore malato o che lo seguono con l’aiuto di assistenti familiari – chiarisce Luca Faella, assistente sociale di Alzheimer Verona –. Hanno riscontrato peggioramenti nella salute dei loro cari su vari fronti, dalla memoria all’apatia, e hanno espresso il bisogno di supporto nell’assistenza quotidiana, oltre che di socializzazione». Si sono dichiarati “giù di morale”, “affaticati”, “senza speranza”, ma solo il 30% di essi ha chiesto aiuto. «Solitudine è una delle parole sentite di più nel periodo pandemico: le famiglie si percepiscono marginalizzate, non solo dalla società ma anche dalle reti familiari e amicali, che pian piano si perdono – prosegue Faella –. Abbiamo constatato che molte volte manca la conoscenza dei servizi presenti sul territorio: ecco perché bisogna insistere con la formazione e con gli eventi di sensibilizzazione, vincendo lo stigma su questa malattia».
Lo conferma pure l’assistente sociale Daniela Liberati, referente del Coordinamento servizi per adulti e anziani del Comune di Verona, città in cui risiedono 65mila over 65, e c’è quindi «una platea di popolazione con bisogni molto complessi». Palazzo Barbieri segue sia la promozione dell’invecchiamento attivo, che la tutela degli anziani fragili, assicurando ad esempio i pasti, l’assistenza domiciliare e un supporto telefonico per anziani soli con più di 80 anni (al progetto “Lo so che non sono solo” hanno aderito in 160). «C’è però una criticità importante: pur investendo molte risorse, non raggiungiamo tutti gli anziani che ne avrebbero necessità», sottolinea l’assistente sociale. Proviamo a fare la nostra parte in queste pagine.
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