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Qui nella frontiera che difende i più fragili

Case di riposo e un virus che colpisce soprattutto gli anziani. Le strutture che proteggono i più fragili si raccontano e si preparano al dopo perché anche questa accoglienza dovrà essere ripensata

Parole chiave: Rsa (2), Case di Riposo (15), Adoa (20), Coronavirus (96), Anziani (38)
Gruppo di operatori di una casa di riposo al balcone con uno striscione colorato recante la scritta: "Quando curi una malattia puoi vincere o perdere, quando ti prendi cura vinci sempre"

Non era difficile immaginare che le strutture che ospitano anziani sarebbero state le più colpite da un virus che è estremamente pericoloso proprio per chi ha un’età avanzata. Nonostante ciò, non tutto è andato liscio, in Italia come in altri Paesi del mondo. Qui si è scontata pure una carenza di dispositivi di protezione per ospiti e lavoratori che permane tuttora. E fa specie che non si riesca a dotare almeno ospedali e ospizi di mascherine di garza, a due mesi dall’inizio della pandemia. Ma molte realtà si stanno distinguendo per l’attenzione e l’abnegazione con cui letteralmente difendono le persone più fragili della nostra società. Un pochino cinica e disinvolta nei confronti di chi viene giudicato uno “scarto”. Ce lo ha ricordato spesso papa Francesco, ce ne stiamo accorgendo oggi: se non sei “produttivo”, non “servi più”. O no?

Elio (Uneba): l’accoglienza andrà ripensata 

C’è un mondo fuori e un mondo dentro. Il primo surreale, fatto di strade deserte e di una vita normale sospesa; il secondo scandito da una quotidianità familiare che va avanti nonostante tutto, con le massime precauzioni. In quel “dentro” c’è persino chi si preoccupa di noi: «Mi raccomando, state attenti, vi pensiamo e preghiamo per voi». È la voce degli anziani ospiti delle case di riposo, uno dei fronti della pandemia dimenticato per settimane.
Eppure, da febbraio le residenze per anziani vivono in trincea. Quelle appartenenti alla rete Adoa (Associazione diocesana opere assistenziali) sono blindate dal 23 febbraio, con rigidi protocolli per evitare la diffusione del Covid-19, prima ancora che i decreti emanati dal governo Conte introducessero le ormai note misure restrittive. Contro un virus assai contagioso e subdolo – capace di insinuarsi ovunque, come abbiamo visto, con danni enormi in termini di vite umane – le residenze si sono attrezzate per assolvere un compito delicato: tutelare i più fragili. Una missione già chiara prima dell’arrivo di questo treno in corsa, divenuta quanto mai fondamentale.
In attesa dello sviluppo di un vaccino, che avrà tempi lunghi, l’obiettivo era (è) salvaguardare il più possibile la salute di queste persone, evitando di esporle al contagio o di farle entrare negli ospedali nel momento della peggior crisi sanitaria di cui si avesse memoria. «È senz’altro una situazione faticosa, ma lavoriamo per tutelare i nostri ospiti e per proteggere i professionisti che li seguono: con senso di professionalità e di cura da settimane siamo immersi in questa realtà, difficile per tutti, ma dai familiari riceviamo messaggi collaborativi e di fiducia». A parlare è Elisabetta Elio, direttrice generale della Fondazione Pia Opera Ciccarelli di San Giovanni Lupatoto, componente del consiglio direttivo di Adoa e pure consigliere nazionale di Uneba, la più longeva organizzazione di categoria del settore socio-sanitario, che solo in Veneto associa 85 enti con radici cattoliche.
Da quelli veronesi è partita un’iniziativa simbolica: dallo scorso 30 marzo ogni giorno, alle 10, nelle residenze per anziani risuona l’inno di Mameli. Dottori, infermieri, operatori, dipendenti e direttori si fermano un minuto soltanto, come a dire “cosa succederebbe se ci fermassimo tutti di colpo?”. «È il nostro modo per chiedere a tutti di fare la propria parte», precisa Elio. Una sorta di rimostranza pacifica alle parole del presidente della regione Veneto Luca Zaia, che a fine marzo aveva sottolineato l’autonomia gestionale delle case di riposo, «dimenticando però che è la Regione a dare le norme per il funzionamento delle strutture e a fissarne, col meccanismo delle autorizzazioni, degli accreditamenti e delle quote sanitarie, le condizioni d’azione», ha ricordato Uneba con altre associazioni di categoria.
Per settimane l’attenzione di Stato e Regioni si è focalizzata sugli ospedali; intanto le Rsa, le residenze sanitarie assistenziali, hanno agito seguendo il buon senso e applicando, appena disponibili, le linee guida delle autorità, dall’Istituto superiore di sanità in giù. Il tutto in una cornice in continuo cambiamento, non di rado confusa: si prenda il caso delle mascherine omologate. Solo grazie alla rete Adoa i presidi di protezione individuale (oltre alle mascherine, guanti e camici monouso) sono stati garantiti, perché il coordinamento si era mosso a gennaio, prima che l’emergenza deflagrasse e gli ordini fossero bloccati alle dogane. «Soltanto alla Pia Opera Ciccarelli servono 600 mascherine chirurgiche al giorno; l’Ulss ce ne ha fornite di recente tremila, il fabbisogno di cinque giorni», cita un esempio per tutti la dirigente.
Pure sul fronte dei tamponi si seguono le indicazioni della sanità pubblica, investita anch’essa dall’emergenza. «Al momento i risultati di quelli eseguiti sugli ospiti arrivano dopo 3-4 giorni, sul personale dopo una settimana – aggiunge Elio –. Nel frattempo mettiamo in atto ciò che sappiamo essere efficace: l’uso di protezioni individuali e la distanza di sicurezza tra gli ospiti, ricorrendo se necessario agli isolamenti». Si procede quindi con estrema cautela, sapendo che ci sarà un “dopo” da affrontare. «Probabilmente dovrà cambiare per sempre il nostro modo di fare assistenza ai più fragili – chiosa Elio –. Dovremo capire come, trovando il giusto compromesso tra la dimensione familiare delle strutture, che non sono ospedali, e la necessità di salvaguardare la salute dei nostri cari».
Adriana Vallisari

Welfare per i dipendenti Adoa

Un pacco spesa settimanale per consentire agli operatori delle strutture di non dover andare al supermercato una volta rientrati a casa. Interventi di supporto domiciliare per la gestione dei figli, se non si hanno aiuti familiari per accudirli mentre si è al lavoro. Sono i tanti piccoli grandi gesti di generosità che gli enti Adoa hanno studiato per valorizzare i lavoratori impegnati nella cura alle persone fragili in questo periodo.
A Pasqua sono arrivate 300 uova di cioccolato, insieme a dei buoni sconto, un dono dell’Ottica Di Virgilio di Dossobuono. E il Giovedì Santo è giunta pure la notizia di un accordo quadro, di portata nazionale, fra Adoa e Ubi Banca per lo sviluppo di iniziative di welfare aziendale. L’hanno sottoscritto alcuni enti pilota della galassia Adoa. «Un modo concreto per testimoniare il nostro sentirci famiglia ed esprimere gratitudine per l’impegno esemplare dei nostri lavoratori, che a tutti i livelli stanno dimostrando di dar prova di professionalità e di amore per i più fragili», commenta mons. Roberto Campostrini, presidente di Adoa e vicario generale della Diocesi.
La partnership stimola tutte le organizzazioni aderenti alla rete a dar corso ad azioni concrete. I lavoratori, infatti, potranno chiedere un rimborso per spese già sostenute (per esempio, legate all’istruzione dei figli), domandare dei buoni acquisto (come per il carburante) e beneficiare di convenzioni particolari. Inoltre, gli stessi enti Adoa potranno essere fornitori di beni e servizi per i fruitori del circuito welfare di Ubi, dato che tra le voci previste nei rimborsi figurano anche le rette per familiari accolti in strutture di questo tipo. «È la traduzione pratica di un principio etico che ci sta a cuore: mettere al centro gli operatori – sottolinea Tomas Chiaramonte, segretario generale di Adoa –. Così lo facciamo in modo strutturato, creando valore aggiunto per le nostre comunità». [A. Val.]

Nonni e familiari più vicini grazie alle videochiamate

Svolta “social” alla Marangoni. E su Facebook c’è chi va in diretta

Nelle settimane di isolamento obbligato, l’atrio della casa di riposo Marangoni di Colognola ai Colli è tra gli ambienti più frequentati. A maggior ragione nel weekend di Pasqua che, nella normalità, sarebbe stato caratterizzato dall’andirivieni di parenti. Poiché la struttura è chiusa alle visite dal 23 febbraio, lì è stata creata una postazione da cui gli ospiti possono mettersi in contatto coi familiari in videochiamata. Dialoghi in principio timidi e impacciati, perché gli schermi un po’ mettono soggezione, che nello scorrere dei giorni hanno acquisito spontaneità. Tanto che il momento della chiamata è diventato appuntamento fisso, irrinunciabile, con gli anziani che attendono il proprio turno. Con cuffia e microfono, chiacchierano e abbracciano (virtualmente) figli e nipoti.
La quarantena ha fatto affiorare talenti nascosti: ha dato il coraggio di mettersi in gioco, di acquisire abilità nuove; gli anziani hanno scoperto tecnologie dai nomi che talvolta faticano a pronunciare. Però col verbo cliccare hanno familiarizzato tutti, racconta in videochiamata Eddy Verzini, assistente sociale alla Fondazione Marangoni che si occupa anche di relazioni col pubblico. Non erano una novità per la residenza le chiamate video: venivano usate da tempo, occasionalmente, per i parenti fuori regione. Ora sono diventate consuetudine, con modalità che proseguiranno una volta finita l’emergenza.
Nella quotidianità della struttura la situazione non è cambiata in modo importante: «Ci sono attenzioni in più legate all’uso di dispositivi di protezione individuale. Dieci giorni prima dell’epidemia avevamo avuto un’influenza ordinaria importante in struttura, quindi operatori e infermieri indossavano già le mascherine nei reparti. Pochi giorni dopo, quando è diventato obbligatorio, abbiamo proseguito con questa prassi per tutelare gli ospiti», evidenzia Verzini, responsabile della sicurezza dei lavoratori e risk manager per la gestione del rischio clinico negli anziani. «Ci sentiamo pronti – chiarisce, riferendosi all’organizzazione interna –: sappiamo cosa indossare, come gestire la situazione e nell’eventualità abbiamo riservato un reparto all’accoglienza di persone positive».
I 60 anziani che vivono nella casa di riposo di Colognola hanno dimostrato capacità di comprensione. «Si tratta di ultrasettantenni che magari hanno vissuto la guerra o carenze nella possibilità di vedersi maggiori di queste. Subito erano i parenti a essere in ansia: piangevano al telefono e gli anziani li consolavano, cercavano di risollevarli nel morale. Difficile è per le persone con demenza: faticano a sedimentare le informazioni, non capiscono l’assenza del parente, si sfogano con manifestazioni di rabbia», riferisce.
Pure uno sfogo aiuta a combattere quella che hanno ribattezzato “la brutta influenza”. Assieme al far vedere che, pur in una circostanza difficile, il clima è positivo. Il vuoto creato dalla sospensione delle visite è stato colmato per ospiti e parenti sia dalla presenza degli operatori, sia dalle tecnologie. Oltre alle videochiamate, attiva è la pagina Facebook della Fondazione Marangoni nella cui home scorrono immagini di quotidianità: dal mercatino colorato di lavoretti agli incontri di ricreazione o preghiera. «Mostrare all’esterno che le cose stanno andando bene è indispensabile. Vedere un post può essere un modo per rasserenare un familiare in apprensione», segnala. Senza contare che questa svolta “social” è gradita dai residenti. Anzi, a proposito di talenti, non sono mancate le sorprese.
Una celebrità è diventata la novantatreenne «Miss Elsa». Dai filmati scherzosi indossando delle parrucche, spalleggiata da Verzini il passaggio alle dirette Facebook è stato rapido. Evento quotidiano delle 19 seguitissimo, addirittura da una signora italiana che vive a Dubai. «Ogni sera sono in collegamento una quarantina di persone, che scrivono commenti in maiuscolo per facilitare la lettura o condividono il video. C’è chi le ha fatto dei regali: cioccolatini e il suo profumo preferito. Lei non dice nulla che non potrebbe dire una nonna a casa, ringrazia per ogni cuoricino che vede passare sullo schermo. Questo mi fa pensare che c’è estremo bisogno di semplicità», fa notare l’assistente sociale. Di questa notorietà Elsa ne fa un vanto: «Le dico che è diventata la nostra “nonna immagine”. È una persona umile, ma sentirsi apprezzata la fa sentire bene. Avendo problemi di udito, la aiuto coi messaggi. Prima era una solitaria, a tavola tendeva a isolarsi per evitare l’imbarazzo della comunicazione difficile». Adesso? Aspetta ogni giorno il suo attimo di celebrità.
Altro momento imperdibile su Facebook, proiettato quasi ogni sera nella residenza prima di cena, è con le previsioni del tempo. Meteorologo d’eccezione è Luca: tredicenne di Sommacampagna che ha la passione sfrenata per le previsioni. Le ore libere da scuola le dedica a creare filmati in cui annuncia che tempo farà. «Un video dopo l’altro ha migliorato le sue capacità ed è diventato spigliato. Ha aggiunto alle previsioni proverbi o preghiere. Da quando gli abbiamo messo a disposizione un tablet e una app, si occupa del montaggio inserendo grafica e suoni. Per sigla ha scelto quella del meteo del 1974, perché gli anziani possano riconoscerla», conclude Verzini.
«L’è proprio bravo Luca», commenta la novantenne Carmela, facendo capolino sullo sfondo del salone dove si scorgono altri anziani. Sono in trepidante attesa: del resto l’orario della videochiamata si avvicina...
Marta Bicego

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