«La mia cinepresa a servizio di Salvatores»
di LIDIA MORELLATO
L’esperienza del giovane regista isolano Alberto Sparapan
di LIDIA MORELLATO
A piccoli passi verso il sogno della vita: fare il regista. Una passione che il giovane isolano Alberto Sparapan, 25 anni, ha sempre coltivato fin da adolescente e che si sta concretizzando. Nei titoli di coda del film Il ritorno di Casanova, uscito nelle sale qualche mese fa, c’è anche il suo nome. Ha rivestito il ruolo di assistente alla regia per le riprese in Veneto nella squadra del grande regista e premio Oscar, Gabriele Salvatores, lavorando a stretto contatto con attori di caratura nazionale.
Un’esperienza che imprime un nuovo slancio alla strada già tracciata negli anni passati, dimostrando che quando ci si impegna anche i sogni possono diventare realtà. Alberto ha le idee chiare e un progetto sempre più nitido di ciò che intende fare nella vita. La sua avventura nel cinema in veste di regista e sceneggiatore è iniziata nel 2018, quando realizzò il suo primo film, Amerika, ambientato nella zona industriale di Isola della Scala. Un impegno proseguito nel 2020 col lungometraggio Il dio del massacro.
Dopo la laurea in Lingue e lettere straniere, per seguire le sue passioni e coltivare il talento si è iscritto alla Scuola civica del cinema “Luchino Visconti” di Milano, dove ha appena concluso il suo percorso di studi. L’arrivo di Salvatores e della sua troupe nella Bassa veronese gli ha offerto questa grande occasione di crescita, che ci racconta svelando il dietro le quinte di un mondo affascinante ma spesso inaccessibile e i suoi progetti futuri.
– Assistente alla regia nell’ultimo film di Salvatores, come è arrivato su questo set?
«Due anni fa, a fine agosto 2021, un mio amico mi ha chiamato avvisandomi che stavano girando un film dietro casa sua, suggerendomi di propormi. Sono andato senza sapere di cosa si trattasse ed effettivamente cercavano persone perché avevano bisogno di aiuto sul set; poi salta fuori che era l’ultimo film di Gabriele Salvatores. Una piacevole sorpresa. Alla fine siamo stati presi io e un’altra ragazza di Vicenza. E da lì è partito tutto: le riprese sono state fatte a Cerea, a Villa Dionisi, a Montagnana e in città a Verona mentre un’altra parte del film è stata girata a Milano, io ho seguito la parte in Veneto che è durata all’incirca tre settimane».
– Un ruolo minore che le ha consentito di lavorare in un grande film con attori del panorama nazionale. Come è andata? «Sono arrivato senza alcun tipo di pregiudizio, perché non sapevo che avrei trovato attori come Toni Servillo, Fabrizio Bentivoglio e tanti altri grandi del panorama nazionale. Mi aspettavo di trovare un luogo di lavoro difficile ed ero pronto anche a un tipo di esperienza frustrante, ma non è stato così perché se lavori con persone che sanno fare bene il loro mestiere (e i romani lo fanno veramente bene), hai a che fare con gente che ti mette a tuo agio, ti fa sentire bene e si diventa un po’ anche una piccola famiglia: questo è il bello del set. Il regista Salvatores è un grandissimo maestro, è un signore di grande eleganza, molto pacato, non l’ho mai visto agitarsi, perdere le staffe e se per caso succedeva, si ricomponeva in un attimo perché sapeva che in quel momento lui doveva guidare il set, vedevi in lui l’esperienza. Un uomo che ha fatto questo mestiere per una vita e quindi c’è solo da imparare».
– Che cosa ha rappresentato questa nuova esperienza?
«È stata essenzialmente un’esperienza di lavoro formante e innanzitutto retribuita, che non è assolutamente scontato perché ci sono tante persone che con la scusa di dirti “vieni sul set che impari”, ti fanno fare cose ma non ti pagano. Questa esperienza mi ha trasmesso la responsabilità di un mestiere, la maggior consapevolezza di quello che faccio. Ma ho capito che quello è un tipo di cinema che mi piace guardare, ma che non mi sento di essere portato a fare».
– Quindi verso quale genere si sente più orientato? «Guardo a lavori che hanno un respiro cinematografico più giovane e più libero. Ci sono diversi percorsi che una persona può intraprendere per arrivare all’obiettivo che si è dato, che può essere fare un film o firmare un’opera prima. A me piacciono di più i percorsi indipendenti, più liberi dove ti trovi a girare con quattro persone, amici fedeli, con cui puoi creare un piccolo prodotto, che però ti rappresenta molto. In particolare mi piacciono i documentari. Con un gruppo di amici della scuola del cinema ne abbiamo creato uno che si intitola Posti sinceri, una mappatura della città di Milano, andando a cercare quei luoghi che avessero un sapore del passato (bar, trattorie, sale da gioco e campi da bocce) che contrastano con l’immagine avveniristica che si ha della Milano di oggi. È un lavoro interessante che parteciperà a diversi Festival che danno visibilità».
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