False notizie per condizionare le nostre menti
L’esperta: le fake news ci vogliono manipolare
Valentina Petrini (nella foto), giornalista d’inchiesta, è abituata a scendere in campo, a mettersi in gioco, osservare, studiare, annotare e incrociare le fonti. Ha iniziato la sua carriera a Radio Popolare Network, per poi passare all’agenzia di stampa Adnkronos, e ha debuttato in tv su La7 nel programma d’inchiesta Malpelo, con un’indagine sull’emergenza sanitaria e ambientale dell’ex Ilva di Taranto, nella sua terra d’origine.
Oggi, su Nove conduce il programma Fake - La fabbrica delle notizie. Volto noto di altre trasmissioni tv, è autrice del libro Non chiamatele Fake News edito da Chiarelettere (2020). Gli argomenti trattati in queste sue pagine sono attualissimi: dal cambiamento climatico al dramma dei rifugiati, alle bufale sull’emergenza Covid-19. “Acque torbide per confondere le persone, manovrarle come marionette. Dove nulla è casuale... è la matematica della manipolazione”.
L’abbiamo intervistata on line nei giorni scorsi, nell’ambito del progetto “Legami leali del Garda Bresciano”. Valentina oggi ha chiara la sua missione: la lotta alla disinformazione. Uno dei temi centrali dei nostri tempi; le fake news dilagano on line, sui social e nei molteplici siti web, ingannando spesso anche lo spettatore più smaliziato. Il suo libro cerca di guidare il lettore in questo mondo, ruotando attorno a una tesi di fondo: le fake seguono precise strategie per permettere ai potenti di turno di rafforzarsi. E più la gente perde fiducia nel giornalismo, nella politica e nelle istituzioni, e più ricorre ai social per informarsi, ritenendoli erroneamente fonte di informazione libera.
La primavera 2020, in piena emergenza medico-sanitaria, oltre il 30 per cento degli utenti del web in Italia ha consultato portali di disinformazione: «Un valore di quasi 11 punti percentuali in più rispetto al marzo del 2019 – precisa la giornalista –. Gli utenti hanno raggiunto questi siti di disinformazione direttamente o attraverso il re-indirizzamento da social network o motori di ricerca».
Che si diffondono veloci lo sappiamo, ma chi produce le fake news e come si alimentano? «È quello che definisco “paziente zero”, ovvero il primo ad averle messe in circolo e purtroppo non per tutte le bufale che ci arrivano, noi siamo in grado di riconoscere il paziente zero. Pensiamo per esempio al periodo della pandemia, del primo lockdown: sui nostri telefonini, su WhatsApp, hanno cominciato ad arrivarci messaggi complottisti di ogni tipo. Di alcuni di questi siamo riusciti a ristabilire l’origine, altri invece sono rimasti nell’anonimato».
Nel suo libro c’è una interessante appendice che raccoglie un’intervista ai giganti del web, come Facebook e WhatsApp, YouTube e TikTok, che oggi veicolano buona parte delle notizie e sono percepiti dagli utenti come organo di informazione e cassa di risonanza delle fake news.
«Questa è una parte a cui tengo molto e che mi ha richiesto parecchio tempo e pazienza per avere le risposte. Abbiamo chiesto ai giganti del web e soprattutto a WhatsApp il motivo per cui sia stata utilizzata, nella pandemia di marzo 2020, questa applicazione e continui a essere usata come strumento di veicolazione delle bufale. Le fake news hanno una diversa matrice, non tutte vanno definite tali, come indico nel titolo del mio libro: molte sono disinformazione, altre sono armi di distrazione di massa, altre ancora sono pure macchine del fango».
La distinzione è importante, precisa Petrini, perché «se noi mettiamo tutto in un mucchio, non riusciamo a capire il fenomeno. Chi produce fake news per diffondere false cure o tesi complottiste che non hanno nessun fondamento scientifico, lo fa ovviamente per guadagnarci e ogni clic su internet, su un titolo fake, su un titolo bufala, su una notizia che in realtà non ha nessun fondamento, produce un guadagno per la macchina che l’ha generata. Esistono poi delle tesi complottiste che hanno probabilmente una derivazione geopolitica. Pensiamo per esempio alle tesi sull’origine del virus: alcune di queste, molte di queste sono nate in Russia o in America in chiave antagonista nei confronti della Cina, per esempio».
La recente tesi del virus creato in laboratorio è sicuramente stata quella più vincente, continua Petrini, in quanto «ha avuto degli sponsor di potere: penso a Donald Trump, per esempio, ma anche in casa nostra ci sono stati gruppi ed esponenti politici che l’hanno cavalcata».
Nel libro la giornalista ha ricostruito i passaggi salienti della diffusione della versione complottista sull’origine del Coronavirus. E ha deciso di “far parlare” sull’argomento il biologo Enrico Bucci, professore associato di Biologia dei sistemi complessi all’Università di Philadelphia. Nel libro l’esperto replica anche ad esponenti del mondo scientifico che in qualche modo hanno prestato il fianco alla tesi complottista, come il premio Nobel Luc Montagnier, o la virologa cinese Li-Meng Yan che aveva accusato il governo cinese di aver cercato di nascondere il virus al mondo.
La pandemia, osserva ancora la giornalista d’inchiesta, è stata accompagnata da una vera e propria “infodemia”, come viene definito l’eccesso di informazione che genera confusione e rende più difficile comprendere i fatti e capire quale sia la verità.
«Nei mesi in cui la pandemia ci ha scombussolato – evidenzia – sicuramente quella dell’infodemia è stata un’altra epidemia che ha minacciato la nostra stabilità. Purtroppo, è un’epidemia che non si è fermata: continuiamo ad essere investiti da tantissime notizie non verificate che ci destabilizzano ogni giorno. Non è accaduto solo in Italia: ovunque le fake news sono entrate nella testa delle persone».
La situazione emotiva di paura e disorientamento causato dal virus invisibile e ignoto ha reso le persone più fragili e il caos generale ha alimentato i complottisti.
«Il binomio scienza-informazione ha veramente tolto il sonno a chi ha fatto e fa il mio mestiere: fare ordine tra i tanti messaggi contraddittori che sono stati diffusi dai singoli esponenti del mondo della medicina o della virologia è stato molto difficile».
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