Cosa succede se uno studente è positivo
O allentiamo le norme o le ignoreremo. Basterà un caso per mandare in tilt intere scuole. E non solo
Vi presento Peppino. È un alunno di prima media, sezione A. Il 25 settembre (ebbene sì, stiamo viaggiando nel tempo), a scuola, inizia a sentirsi poco bene. Ha la febbre, e di lì a poco si scopre che è dovuta al Coronavirus. Non preoccupatevi: Peppino è forte, non avrà neppure bisogno del ricovero. Però, appunto, il Covid se l’è preso. Prendiamo le normative del ministero – disponibili sul sito istruzione.it – e proviamo a capire cosa succede.
Per cominciare, vengono messi in quarantena per 14 giorni “i contatti stretti”, si legge, e il riferimento è ai compagni di classe e agli insegnanti “che sono stati a contatto nelle 48 ore precedenti” con Peppino. In attesa di capire cosa fare della giovane Matilde, che era stata assente nei due giorni precedenti, ma che non può essere di certo l’unica della 1A a presentarsi a scuola, tutta la classe resta a casa e si prepara alla didattica a distanza.
E gli insegnanti? Viene messa in quarantena la professoressa Ipotenusa di Matematica, che però insegna anche in 2ªA e 3ªA. Finisce in quarantena il prof Manzoni di Italiano (docente pure in 1ªB e 2ªC), è costretta a rimanere a casa anche la prof Tavolozza di Arte, che per due settimane non potrà andare in quella scuola ma neppure nell’altra del Comune vicino, dove completa l’orario con tre classi. Il prof di religione Santosubito di classi ne ha 18. Insomma, il Covid del povero Peppino genera una catena di quarantene che costringono subito alla didattica a distanza. Immaginate cosa provocherebbero, pur senza volerlo, cento o mille “Peppini”. Alcuni di loro, in questi giorni, stanno giocando al parco con decine di coetanei.
Tranquilli: i guai potrebbero giungere ben prima. Diamo per scontato che in tutta Italia le assunzioni dei docenti arrivino per tempo e immaginiamo che per qualche contrattempo non legato al Covid un docente non riesca a presentarsi a scuola: ha l’influenza, il figlio sta poco bene, l’auto non parte, la fagiolata della sera prima gli è rimasta sullo stomaco (o anche tutte queste cose messe assieme). Fino ad oggi cosa accadeva? Semplice: se c’è un insegnante disponibile, va nella classe lasciata scoperta. Altrimenti, i ragazzi vengono redistribuiti nelle altre aule. Può capitare, mentre stai facendo lezione in 3ªC, di vedere il bidello – pardon, operatore scolastico – aprire la porta e dire: «Sono gli alunni della 1ªB, non c’è la prof Sguazzabugli, li metto da lei?». E, senza neanche attendere la risposta, lancia dentro la tua aula dodici ragazzi, sigillando la porta e fuggendo via, troppo lontano per essere inseguito. Ovviamente, per rispettare il distanziamento, questo non dovrebbe più avvenire. Anche se, a dire il vero, la norma sembra prevedere possibilità nelle quali il distanziamento va tranquillamente a farsi benedire, purché tutti gli studenti indossino la mascherina.
Già, me l’immagino, nel liceo da mille studenti, il rispetto della distanza di sicurezza: «Vuoi andare in bagno? Aspetta che verifico se nelle altre 45 classi c’è qualcuno che ha la stessa esigenza: non potete essere in troppi...». Per non parlare delle elementari, con la fila dei bimbi di 6 anni per lavarsi le mani. Mi ricordo di Sandro, autistico, che aveva bisogno di correre e di abbracciare i compagni. E Francesco, iperattivo, che sgattaiolava sotto i banchi. Li legheranno? Il ministero questo non lo specifica.
Insomma, o le norme verranno allentate o verranno ignorate. Oppure ci si dovrà riabituare alla didattica a distanza. Poco male, verrebbe da dire, se solo si fosse fatto qualcosa negli ultimi sei mesi. La pausa estiva è stata accolta come una liberazione da tutti (non solo dagli alunni) e siamo andati in vacanza. Ora sarà inutile rimproverare gli studenti per non essersi organizzati bene con i compiti, quando in 200 giorni siamo stati in grado di elaborare un piano che può saltare per aria al primo Peppino di turno.
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