«Auguro a tutti voi di... morire: così potremo rigenerarci»
di ANDREA ACCORDINI
Don Luigi Ciotti: seppelliamo idee e pratiche che hanno fatto il loro tempo
di ANDREA ACCORDINI
«Auguro a tutti voi di morire». Provocatorio come sempre, don Luigi Ciotti, nel suo intervento alla festa di Golosine 37136, lo scorso venerdì sera. L’insolito augurio con cui si è congedato dal pubblico era soprattutto un invito al cambiamento radicale da parte del prete ispiratore e fondatore dapprima del Gruppo Abele, in aiuto ai tossicodipendenti e alle vittime di dipendenza; quindi dell’associazione Libera contro i soprusi delle mafie in tutta Italia.
«C’è un morire – ha infatti spiegato un attimo più tardi – che è necessario alla vita e al suo infinito rigenerarsi», perché «una rinascita implica il passaggio dalla morte di idee e pratiche che non reggono più l’urto del tempo», la morte di «linguaggi e tecnicismi sterili, di prassi utili solo a mantenere lo status quo». Di qui il richiamo al «coraggio di morire a sé stessi, alle nostalgie, ai dogmi sociali, alle tante parole d’ordine, per lasciarsi alle spalle tutto questo e rinascere».
Il tema della serata, su cui don Ciotti è stato chiamato a confrontarsi con Chiara Giaccardi, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi dell’Università Cattolica, era quello della sostenibilità, tanto caro agli organizzatori della manifestazione. La festa Golosine 37136 ha infatti fatto scuola negli anni: è stata tra le prime sagre a scegliere stoviglie compostabili e acqua gratuita, consentendo a chi lo desidera di partecipare senza necessariamente acquistare bevande. Non solo, perché è anche uno dei casi più unici che rari di festa popolare in cui tra chioschi, musica e birre, si riesce a proporre una serata di approfondimento socio-culturale.
Un successo riconosciuto anche dall’assessore Michele Bertucco, presente per portare i saluti dell’amministrazione comunale, e dal vescovo Domenico Pompili che, essendo impegnato nel viaggio missionario in Mozambico, ha scelto di esprimere la propria vicinanza alla manifestazione con un video messaggio. Un po’ relazione, un po’ omelia, un po’ denuncia e un po’ comizio, l’intervento di don Ciotti è stato un manifesto di cosa significhi «ecologia integrale», toccando un’infinità di «sfide che la nostra quotidianità ci chiama ad affrontare»: dal cambiamento climatico alle guerre, dalla deforestazione dell’Amazzonia alla mafia sempre più “finanziaria”, dal debito ecologico dei Paesi ricchi verso i Paesi poveri alle migrazioni, autentiche «deportazioni indotte» al sud del mondo.
Punto di partenza e cardine di ogni riflessione di don Ciotti è la Laudato si’ di papa Francesco, «documento eccezionale che graffia le nostre coscienze» e chiama ad una conversione integrale, con «parole che devono farsi carne, sangue e vita per tutti noi», che non possiamo accontentarci di inseguire una «transizione ecologica» che altro non sarebbe che un cambiamento superficiale ed esteriore, una maschera dietro cui nascondersi. La situazione attuale, il «grido» che la Terra sta lanciando, invece, non permette semplici soluzioni di facciata. «Stanno cambiando la storia, la geografia; stanno sparendo villaggi e bellezze», ha denunciato il presbitero, evidenziando come i cambiamenti naturali conducano ad emergenze sociali e umanitarie, perché «tutto si salda».
La conseguenza è che non può esistere una sostenibilità sociale ed economica senza una sostenibilità ambientale e dunque «lottare per il clima è lottare contro la disuguaglianza e la povertà» e viceversa. Ed è una lotta che dipende da ciascuno, perché non è più sufficiente la commozione al cospetto delle tragedie e delle miserie umane, ma è necessario un impegno personale. «Davanti a tutto quello che sta accadendo – ha precisato don Ciotti – occorre imparare a riconoscere l’altro, non solo davanti a noi, ma anche dentro di noi. L’altro che ci parla attraverso la voce della coscienza, non dimenticando che il male non è solo di chi lo commette, ma anche di chi non fa nulla per impedirlo». Di qui l’invito, citando don Tonino Bello, a «scorgere il Corpo di Cristo nei tabernacoli scomodi della miseria, del bisogno, della sofferenza, della solitudine».
Uno solo però sarebbe lo strumento per dare corpo a tutto questo: la cultura. La sostenibilità, dunque, «ha bisogno di cultura per trasformarsi in azione concreta. Ha bisogno di conoscenza, che fa scattare la consapevolezza, che a sua volta fa scattare la corresponsabilità». L’educazione prima di tutto, per «fondere l’etica e l’estetica, il bene con il bello» delle arti e dello sport sano e fare da argine allo sfruttamento della terra e dell’uomo, ai disastri naturali e al cancro delle mafie, per disegnare un futuro integralmente sostenibile.
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