La fiducia nella sanità non passa da qui
Dopo The good doctor, anche quest’anno per garantire durante l’estate le necessarie cure mediche, per i telespettatori di Rai 1 è arrivato The Resident, ossia il medico specializzando che sta compiendo l’ultimo tratto del suo percorso di perfezionamento professionale...
Dopo The good doctor, anche quest’anno per garantire durante l’estate le necessarie cure mediche, per i telespettatori di Rai 1 è arrivato The Resident, ossia il medico specializzando che sta compiendo l’ultimo tratto del suo percorso di perfezionamento professionale. Nell’ospedale di Atlanta, luminoso e ordinato come un centro commerciale, s’intrecciano le storie di tanti pazienti, il più delle volte agitati e bisognosi, oltre che d’interventi sanitari, anche di supporto morale per guarire dalle ferite che una vita tribolata ha lasciato loro addosso. I veri protagonisti, però, sono i medici, che se da una parte cercano di stilare la diagnosi esatta, dall’altra dimostrano tutta la loro fragilità umana e talora anche la loro inadeguatezza morale a ricoprire il ruolo loro affidato. Come d’abitudine, per serie come queste, sono poste in evidenza le difficili relazioni personali, comprese quelle di cuore, fra colleghi e colleghe. Nota caratteristica di questa produzione è, poi, l’introduzione nella trama del problema di professionisti intenti, più che a scegliere la terapia migliore o ad aspirare a futuri innalzamenti di carriera, a farsi tentare dai guadagni facili, cedendo alla pressione delle case farmaceutiche al centro di un losco giro d’affari a danno dei malati. Cavalcando questa epica battaglia, dal sapore vagamente rivoluzionario, è netta la separazione tra buoni e cattivi, tra medici servitori dei pazienti e altri dediti esclusivamente al loro tornaconto economico. Come da copione, all’interno di ogni medical drama transoceanico, anche qui sono presenti un vago sentimento razzista, il tormento di un amore non corrisposto e la durezza di cuore di un superiore approfittatore e malvagio. Secondo lo stile statunitense, le scene si rincorrono veloci una dopo l’altra, per dare il senso della concitazione del dramma, accompagnate da una colonna sonora che ogni tanto registra qualche melodia o suono inquietante. Gli attori fanno del loro meglio per interpretare personaggi un po’ troppo schematizzati, cui sono riservati dialoghi piuttosto banali e prevedibili, somiglianti più a quelli di una soap opera che non a quelli di un telefilm. Abbandonati gli esempi dei primi camici bianchi apparsi sul grande e piccolo schermo e accodandosi ai medici di più recente comparsa, dal dottor House fino alla dottoressa Giò, anche i professionisti di Atlanta non contribuiscono a rafforzare la fiducia nella sanità mediatica.
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