Una nuova relazione con la Terra e le sue creature
La cultura dello “scarto” frutto di rapporti utilitaristici sembra possa essere superata solo con relazioni nuove nutrite di fraternità
“Laudato si’, mi’ Signore”, cantava san Francesco d’Assisi (n. 1). Il santo da cui il Papa ha scelto il nome è il punto di partenza e il punto d’incontro per il lungo ed esigente percorso della seconda enciclica di Francesco sul tema della cura della “casa comune”. Non si tratta di un testo dedicato esclusivamente al problema dell’ambiente: il Papa ci prende per mano per insegnarci a coniugare ecologia e problema dei poveri. L’enciclica fa una cosa straordinaria non confinando la cura e la custodia del creato a scelte per la vita e il benessere di qualcuno, di pochi, ma indicandole come via della giustizia, della pace e dell’amore. Papa Francesco si lascia prendere per mano da Francesco d’Assisi per attraversare questo nostro tempo. Come ha fatto il Santo”, è uscito dalle mura della sua città e dalla periferia, un posto che il Papa ritiene privilegiato, ci invita con lucidità a riconoscere quanto abbiamo fatto e stiamo facendo alle persone e alle cose quando lasciamo che la politica sia sottomessa all’economia e l’economia alla tecnologia, provocando un deterioramento della qualità della vita umana. La nostra casa comune, la terra diventa “come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia” (n. 1). Lasciarsi accompagnare da Francesco d’Assisi significa innanzitutto cercare relazioni di prossimità che diventano fraternità e dalle donne e dagli uomini si allargano a tutto il creato. Questo significa fare esercizio concreto di dialogo con chiunque sia in ricerca, riconoscendo che “su molte questioni concrete la Chiesa non ha motivo di proporre una parola definitiva e capisce che deve ascoltare e promuovere il dibattito onesto fra gli scienziati, rispettando le diversità di opinione”(n. 61). Anche se è proprio l’approccio del santo di Assisi a ricordarci come difronte a questioni tanto grandi e tanto complesse solo “l’apertura verso categorie che trascendono il linguaggio delle scienze esatte o della biologia e ci collegano con l’essenza dell’umano” (n. 11) potranno aiutarci a credere e “riconoscere che c’è sempre una via di uscita, che possiamo sempre cambiare rotta, che possiamo sempre fare qualcosa per risolvere i problemi”(n. 61). Quando i biografi parlano di Francesco d’Assisi fanno dipendere tutta la novità della sua vita dalla relazione con Dio, la fonte del suo modo nuovo di stare nelle relazioni. “La pietà lo elevava a Dio per mezzo della devozione, lo trasformava in Cristo per mezzo della compassione, lo faceva ripiegare verso il prossimo per mezzo della condiscendenza e, riconciliandolo con tutte le creature, lo rimodellava secondo lo stato dell’innocenza primitiva” (San Bonaventura, Leggenda Maggiore, 8,1). In questo il santo continua ad essere maestro alla nostra necessità di ristabilire una relazione nuova con la natura, quella delle origini, dove l’uomo non sarà il suo dominatore e distruttore, quanto piuttosto colui che la custodisce. “Custodire vuol dire proteggere, curare, preservare, conservare, vigilare. Ciò implica una relazione di reciprocità responsabile tra essere umano e natura” (n. 67). Francesco d’Assisi è innamorato del creato, di ogni creatura perché innamorato del Creatore e come un innamorato si rivolge alle creature riconoscendo il legame con il Creatore (Laudato sii mi Signore per...) e tutte le invita a partecipare dello stupore che sostiene il suo canto di lode; nel Creatore, tutte le riconosce sorelle e fratelli. Si tratta di una reciprocità che si fonda sulla consapevolezza di essere “ospiti, come forestieri e pellegrini” (san Francesco, Testamento, 24), infatti “del Signore è la terra” (Sal 24,1), a Lui appartiene “la terra e quanto essa contiene” (Dt 10,14). Questo modo altro di vivere e di abitare la nostra casa comune del santo di Assisi ci insegna come “tutto sia in relazione, e che la cura autentica della nostra stessa vita e delle nostre relazioni con la natura è inseparabile dalla fraternità, dalla giustizia e dalla fedeltà nei confronti degli altri” (n. 70). La cultura dello “scarto” (cf. n.22) esito di relazione utilitaristiche tra gli uomini e le cose e tra gli uomini stessi sembra possa essere superata solo perseguendo relazioni nuove nutrite di fraternità capace di superare quei confini che continuamente costruiamo. Il santo di Assisi viveva in un tempo in cui non mancavano gli scarti, tra questi i lebbrosi erano senza dubbio i più intriganti. Annunciati da una campanella, relegati fuori dai luoghi abitati, estromessi dalla vita sociale non avevano alcuna dignità. Ripugnanti solo al pensiero, fuggiti e lasciati soli. La vita nuova del santo inizia quando decide di avvicinarsi al lebbroso e vi scopre un fratello che cambia la sua vita tanto che in quell’incontro Francesco segnala l’inizio della sua nuova vita. “Il Signore dette a me, frate Francesco, di incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da loro, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di animo e di corpo. E in seguito, stetti un poco e uscii dal secolo” (Francesco d’Assisi, Testamento, 1-3). Non più scarti, ma fratelli, per una vita bella.