Serra e il pregio letterario di una trama debole
Michele Serra
Ognuno potrebbe
Feltrinelli, Milano 2015
pagg. 152 - 14 euro
Se ancora qualcuno apprezza una scrittura levigata, in cui l’eleganza è frutto di lima e la punteggiatura non funziona con la disorientante casualità del lancio di coriandoli, ha già accumulato buoni motivi per scegliere i libri di Michele Serra. Piace, poi, il garbo con il quale lo scrittore nato a Roma si offre ai lettori, senza per questo rinunciare al gesto satirico del graffio. Certamente, rispetto ai tempi del settimanale Cuore, l’appena menzionato servizio di rianimazione dell’intelligenza si avverte con minor disturbo, essendo intervenute altre tonalità non meno utili.
Con Ognuno potrebbe, Serra inventa brani di vita di Giulio, figlio di un pignolo ebanista e di un’attrice priva di trofei, che millanta senza convinzione la scalata ad una cima letteraria e teatrale come Ibsen. L’esistenza di Giulio, arrivato all’età di trentasei anni, si dipana senza squilli di tromba fra la casa paterna, ancora abitata dalla madre e dall’insegnante di lettere del liceo; l’università, dove insegue un improbabile dottorato sull’esultanza dei goleador; il capannone del padre defunto che, ingombro ancora di legni esotici, non riesce a vendere o affittare in modo soddisfacente. A parte i litigi con la giovane fidanzata Agnese, spesso generati da un uso irritante dello smartphone da parte della ragazza, e i contenuti dissapori con l’inguaribile ottimista Ricky, come lui impegnato nella classificazione delle calcistiche esultanze, dai giorni di Giulio manca la caligine, l’incidente, il misfatto, l’indigenza, in una parola, quell’assenza dell’“Oggetto di valore” che semiologi e narratologi indicano come forza motrice del racconto. Sta probabilmente in questa mancanza dell’elemento generatore parte del difetto, ma anche parte del pregio delle pagine scritte da Serra. Val la pena di puntualizzare.
Partiamo dal secondo. Si capisce perfettamente l’intenzione seminata dall’autore romano fra le sue righe tornite: dare vita in modo convincente ad un personaggio irrisolto, senza colori vivaci, che si distingue prevalentemente per i fastidi provati, che lo tengono ad ugual distanza sia dagli anziani sia dai ventenni. In un momento di lucida autocoscienza, Giulio ricorda che alle superiori la sua fascia di voto era il 6-: un passo, nel contempo, dalla salvezza e dal baratro, con una consumante invidia per chi viveva la beatitudine dell’8 o la condanna certa del 4. Nel regno di Capannonia, fatto di “cubi e tubi”, l’eroe del romanzo si perde ad una rotonda che dista pochi passi da casa sua, mettendo in scena uno spaesamento che diventa cifra importante dell’uomo contemporaneo. Con Ognuno potrebbe, forse, è riuscita allo scrittore un’impresa la cui gradevole leggerezza non inficia le pretese sociologiche e filosofiche, che il breve romanzo educatamente avanza.
S’è messo in più occasioni il dito nella piaga della mancanza di trama. In alcuni casi si tratta di una debolezza che crea sconforto, poiché ammala il medesimo romanzo, inescusabilmente, in letale consorzio con altre. Nel caso di Serra, si ha troppa stima dell’autore per indicare nella debolezza menzionata una lacuna inconsapevole. Studi di eterogenea matrice indicano nel carattere narrativo addirittura un contrassegno dell’intelligenza umana, incline a (ri)costruire un senso degli avvenimenti, realmente accaduti o solo inventati. Tali studi, spesso citando il filosofo francese P. Ricoeur, adoperano volentieri l’espressione “identità narrativa”, richiamando così un divenire del lettore in riferimento allo sviluppo delle vicende narrate e al percorso dei personaggi. Non ci pare casuale il carattere fragile, praticamente assente, della trama ordita da Serra, se visto in relazione con i tratti volutamente deboli del protagonista. Una trama debole, quasi sulla soglia dell’(in)esistenza, dipinge un’identità debole, spaesata. È legittimo chiedersi se un diverso uso della creatività letteraria non può diventare un dono prezioso alla vita buona.