L'anno santo con Dante
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Ciacco e i mali di Firenze: superbia, invidia e avarizia

Dante sta narrando poeticamente il canto sesto dell’Inferno, il primo dei canti sesti, nei quali il poeta si sofferma a trattare dei temi della politica...

Ciacco e i mali di Firenze: superbia, invidia e avarizia

Dante sta narrando poeticamente il canto sesto dell’Inferno, il primo dei canti sesti, nei quali il poeta si sofferma a trattare dei temi della politica. In questo, affronta la situazione politica della sua città natale, Firenze.
È appena entrato nel cerchio terzo, nelle cui acque gelide e sotto una pioggia fastidiosissima sono sommersi i golosi, puniti da una pena che fa da contrappasso al loro essere vissuti in terra: sono vissuti come dei vermi, dediti solo al mangiare e al bere; ora sono immersi nella melma come dei vermi. Non hanno più nemmeno la sembianza di persone. Semplicemente sono “vanità” con sembianze di persone: “Noi passavam su per l’ombre che adona / la greve pioggia, e ponavam le piante / sopra loro vanità che par persona” (Inferno VI,34-36).
Fa loro da guardia “il gran vermo”, Cerbero, il mitico cane a tre teste, che latra in modo insopportabile. Ha gli occhi rossi vermigli, la barba unta e sporca, il ventre largo e le mani dalle lunghe unghie: graffia gli spiriti, li scuoia e li squarta. Una scena horror. Tra quei dannati Dante riconosce a fatica il fiorentino Ciacco, famoso per il vizio della gola. Il pensiero di Ciacco è fissato su Firenze, travagliata dalle guerre fratricide tra Neri e Bianchi. Preannuncia a Dante dapprima la vittoria dei Bianchi, ma poi il sopravvento, vendicativo, di cui fu vittima Dante stesso, dei Neri, sostenuti da Carlo di Valois a nome di papa Bonifacio VIII. Dante gli chiede la causa profonda di tanta e interminabile ostilità tra i partiti dei Bianchi e dei Neri. Ciacco precisa che Firenze è corrotta da tre vizi: la superbia arrogante, l’invidia che acceca, l’avarizia che tutto sacrifica al denaro come a un idolo: “superbia, invidia e avarizia sono / le tre faville c’hanno i cuori accesi” (Inferno VI,74-75). Questi tre vizi, radicati nei Fiorentini, sono come tre scintille che sprigionano fuoco ovunque, diffondendone il contagio.
Superbia, invidia e avarizia, purtroppo, non sono vizi che stigmatizzano gli antichi Fiorentini, ma sono simbolo pure della cultura dell’individualismo attuale. L’Anno giubilare è occasione propizia per combatterli. Tutti insieme. Per non parlare della golosità!

† Giuseppe Zenti
Vescovo emerito di Verona

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