Segnali di ripresa ma il Sud arranca
Non sono un esperto di economia, anche se non c’è cosa sotto il sole che non mi incuriosisca. Soprattutto quando di mezzo c’è il destino della gente e, in particolare, di chi sente i morsi della crisi che stiamo attraversando.
Non sono un esperto di economia, anche se non c’è cosa sotto il sole che non mi incuriosisca. Soprattutto quando di mezzo c’è il destino della gente e, in particolare, di chi sente i morsi della crisi che stiamo attraversando.
Mi si chiede spesso se vedo la luce in fondo a questo tunnel, che ha sfiancato aziende e famiglie. Vorrei spesso avere certezze nel fondare la speranza di una risposta. Ma poi prevale il realismo. E questo mi obbliga a guardare scenari più grandi di quelli che sono i confini del nostro Paese. Siamo da tempo in regime di globalizzazione e questa è una scacchiera ad effetto domino, capace di mettere al tappetto le carte appena rialzate.
Le parole dei nostri politici, dettate più dal dovere che dai dati statistici, ci inducono a qualche ottimismo. Ma cosa potrebbe accadere se, appena ripartiti, ci trovassimo davanti al crollo della Cina, di cui avvertiamo gli scricchiolii? Quale effetto domino sull’umanità potrebbe avere il crollo della sua economia, o quali devastanti conseguenze potrebbe generare la rivolta di centinaia di milioni di cinesi, che oggi vivono alla periferia dello sviluppo, senza pensioni, senza prole, senza neppure l’aria respirabile, dentro scenari dove la macchina sembra divorare i suoi figli.
Papa Francesco non manca occasione per richiamare al loro dovere finanza e mercati, perché tornino a mettere al centro la persona e i suoi diritti. Ma sono parole che sembrano arrivare nelle praterie della sordità, là dove prevale l’ingordigia e dove la politica ha rinunciato a governare il denaro, accontentandosi dei vantaggi che si possono avere remandoci dentro.
E l’Italia? mi si chiede. Girando, qua e là, si ha l’impressione di due Italie. È amaro a dirsi, ma è così. A fronte di un Centro-Nord che sta dando segnali di ripresa, arrivano i dati mortificanti del Sud, a dipingere un quadro di una tristezza senza consolazione. Tre milioni di poveri assoluti, l’80% di tutti i licenziamenti che si fanno in Italia, gli investimenti industriali a meno 53% e una crescita di gran lunga inferiore a quella della Grecia, sono lì a ricordarci che la situazione potrebbe diventare irreversibile.
Senza voler dar ragione a chi si costruisce carriere politiche dichiarando che il Paese sta male perché c’è il Sud, bisogna prendere atto che lo scenario pone comunque degli interrogativi. E non si possono scomodare sempre Longobardi e Borboni per dare risposte a situazioni che domandano coraggio e lucidità. Che vuol dire denunciare non solo la criminalità organizzata, cancro del Meridione d’Italia, ma anche l’incapacità politica di gestire le situazioni. Roboanti proclami di governi di Destra e di Sinistra hanno alla fine lasciato sul campo analogo cumulo di macerie, in una debolezza di uomini e di idee da far impressione. Ed è il vuoto istituzionale che apre le porte agli scaltri e ai malvagi, perpetuando nello stesso tempo quella cultura assistenzialistica, che smorza ingegno e creatività.
Non è un caso che Renzi parli di stornare nuovi fondi per Sud, presi dai bilanci europei. Dieci miliardi per l’esattezza, per ottenere i quali bisognerà rendere conto con pezze giustificative di ciò che si è fatto entro il 31 dicembre. Pezze che avrebbero dovute essere prodotte da anni, mentre crescevano lavori e investimenti, mentre ora, come col cerino che brucia, resta un margine di soli cinque mesi di tempo. Colpa anche questo di un Nord insensibile?
Forse il Sud ha bisogno davvero di una rivoluzione, ma di quelle vere. Fatta dalla gente del luogo. Sempre che i rivoluzionari siano d’altra pasta dei loro rappresentanti.