Il Fatto di Bruno Fasani
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Pacchetto turistico con mafia compresa

E quest’ultimo appellativo in riferimento alle sue capacità di devastare quanto incontrava, perché da dove passava lui, come con Attila, “non cresceva più l’erba”. Secondo altri collaboratori di giustizia «Riina Salvatore e Provenzano Bernardo sono responsabili di non meno di quaranta omicidi ciascuno», praticati con una ferocia che faceva impallidire gli adepti dei clan...

Parole chiave: Il Fatto di mons. Bruno Fasani (46)

Bernardo Provenzano, il potentissimo capo della mafia corleonese, stando alle affermazioni di un pentito,  era soprannominato nel suo ambiente “u’ viddanu”, ossia il villano, il rozzo ed anche “u’ tratturi”, il trattore. E quest’ultimo appellativo in riferimento alle sue capacità di devastare quanto incontrava, perché da dove passava lui, come con Attila, “non cresceva più l’erba”. Secondo altri collaboratori di giustizia «Riina Salvatore e Provenzano Bernardo sono responsabili di non meno di quaranta omicidi ciascuno», praticati con una ferocia che faceva impallidire gli adepti dei clan. Oggi Bernardo Provenzano sta finendo i suoi giorni dentro un carcere, malato e malandato, arrestato nel 2006, dopo 43 anni di latitanza, in cui, grazie ai famosi “pizzini”, ossia note in codice battute a macchina, mandava avanti una macchina da guerra capace di seminare morte e malaffare con una abilità degna di un genio del male.
Sfido chi si ritrovasse ad avere un padre del genere a trovare il coraggio di esibire faccia e famiglia davanti al mondo. La logica del buon senso, se non dell’opportunità, suggerirebbe, se non proprio di cambiar cognome, quanto meno di vivere defilati, confidando nell’oblio della gente e nella misericordia dei buoni. Eppure in Sicilia, a Palermo per l’esattezza, per sfacciataggine e per denaro, di tutto questo nemmeno l’ombra. E così succede che Angelo Provenzano, trentanovenne figlio di tanto padre e per diciassette anni latitante con lui, si trasformi in disinvolto conversatore per raccontare, a bramosi e morbosi turisti americani le vicende della storia di casa, in versione quadretto di mafia con contorno di famiglia. Ovviamente non una parola per descrivere gli anni della latitanza insieme al padre, con il rischio di favorire indagini capaci di smantellare pericolosi scenari. In compenso parole tenere per un padre premuroso, esigente ma sollecito nel pretendere figli sani ed onesti. Un San Giuseppe con la coppola, insomma, cui fare gli sconti, che in tempi di buonismo funzionano come nei negozi a fine stagione. L’Agenzia americana, che ha messo in programma il tour della Sicilia con tanto di visita al figlio del boss, prende atto dell’indignazione di tanti siciliani ed italiani, in generale, dicendo che raccontare il Sud con gli occhi e le parole del figlio di un criminale è comunque entrare nella storia di questa terra. Forse a raccontargliela meglio avrebbero potuto pensarci i parenti delle migliaia di morti che la mafia ha lasciato in giro per le strade, devastando un territorio, una cultura e una popolazione che ancor oggi chiede di poter uscire da una schiavitù cui è stata incolpevolmente condannata. Ma Angelo Provenzano che, non senza pelo sullo stomaco, reclama di poter guadagnarsi da vivere raccontando di suo padre, dovrebbe, tra una chiacchiera e l’altra, far sapere dove si trovano i beni di famiglia, magari restituendoli alla società per un dovere di giustizia, in riparazione al metodo delinquenziale con cui sono stati ottenuti. E poi, perché trasformare un pericoloso criminale in mito di successo, con il rischio di fare di questa vicenda un tam tam culturale, pronto a trovare emuli e seguaci? Perché non introdurre, allora, il reato di apologia come si fa con gli sbandieratori delle gesta dell’Isis? La mafia non ha bisogno di cantori, neppure in veste di guide turistiche e, tantomeno, se proposta da figli d’arte. Essa ha bisogno d’essere sconfitta, non solo con le armi e la giustizia, ma anche culturalmente, relegandola nel silenzio e nella condanna morale. Sepolta sotto il peso delle sue macerie, con illacrimata sepoltura.

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