La saggezza del Natale nella vita di un bimbo
Flavio ha quattro anni e un “motore” Ferrari di cui la Provvidenza lo ha dotato a sua insaputa. È uno di quei bambini che ti aspetti di vedere crescere per scoprire cosa diventeranno da grandi. Di indole è un primario, uno cioè in cui la natura che si porta dentro, sicura e potente come una lingua madre, viene prima dei calcoli e del ragionamento...
Flavio ha quattro anni e un “motore” Ferrari di cui la Provvidenza lo ha dotato a sua insaputa. È uno di quei bambini che ti aspetti di vedere crescere per scoprire cosa diventeranno da grandi. Di indole è un primario, uno cioè in cui la natura che si porta dentro, sicura e potente come una lingua madre, viene prima dei calcoli e del ragionamento. Una di quelle persone che non devono pensare a quello che vogliono, perché lo sanno per fiuto e non hanno nemmeno bisogno di studiare tattiche per raggiungerlo. Basta che si lascino guidare dall’energia che li pilota. Di solito li chiamiamo istintivi o anche impulsivi, con le accentuazioni negative che il dire popolare abbina a queste definizioni. In realtà appartiene a quella categoria di individui che non hanno doppie verità. Possono piacere o meno, della serie prendere o lasciare. Ma loro sono così, immuni da quel democristianismo, tipico degli uomini per tutte le stagioni. E già da questo la storia di Flavio si presta alla nostra favola di Natale, risvegliando, nel percorso dei nostri giorni, quel bisogno di autenticità umana, senza la quale tutto si riduce a politica, calcolo, interesse, opportunismo, strategia. C’è un bisogno da morire di questo antibiotico dell’animo, da portare dentro ai giochi dei partiti, dentro alle nostre case, nei rapporti professionali e in quelli di tutti i giorni dove spesso ci si vive accanto, ma incapaci di fare comunione. Prendo ancora a prestito Flavio, per la nostra favola. Flavio ha un fratello più grande che frequenta le elementari. Praticamente perfetto, se non fosse per quella paura, momentanea e passeggera, a rimanere da solo dentro una stanza, magari solo per farsi una doccia. Ma niente paura se c’è la Ferrari di casa. Perché il Flavio si prende la sedia, quella piccola. Si prende anche un gioco, perché sprecare il tempo in cose noiose non è da lui e si siede lì accanto, come un piantone di caserma o un buttafuori da discoteca. L’importante che chi è dentro si senta al sicuro, protetto da un affetto di poche parole ma di efficacia sicura. I care, ho cura, ho interesse per l’altro. Era il motto che don Milani insegnava ai suoi ragazzi, per renderli idonei a percorrere la strada della vita. Viene solo da chiedersi, a fronte dell’innocenza e dell’esempio dei bambini, se sia il mondo degli adulti ad indurre questo sentire nei suoi cuccioli, o se non siano questi ultimi a doversi difendere da un mondo di grandi, tanto refrattario a prendersi cura degli altri. Penso a Flavio e alla telefonata di qualche giorno fa. Che fai Flavio? «Mi sto godendo» è la risposta. Ma con che cosa? «Con niente, mi sto godendo la vita» è l’affermazione perentoria. Sarà anche esercizio dialettico di luoghi comuni da apprendere per il futuro, ma ciò che colpisce sta tutto in quelle due parole, scarne e spoglie come un melo d’inverno: con niente. La gioia non ha bisogno di cose. Essa scaturisce dagli animi e non è effetto dei patrimoni. Natale è memoria di un bambino. Ma la saggezza ci viene sempre e ancor oggi da loro.