L’Aquila sei anni dopo tra timori e speranze
L’Aquila ha ricordato nei giorni scorsi l’anniversario della catastrofe che l’ha colpita sei anni fa. S’è ritrovata a piangere i suoi 39 morti, ma anche a denunciare il fatto che ancora 80mila persone vivono fuori dalle proprie abitazioni e 15mila sono rifugiate in abitazioni di emergenza. Diecimila aquilani silenziosi e con una candela tra le mani, attraverso le vie deserte del centro...
L’Aquila ha ricordato nei giorni scorsi l’anniversario della catastrofe che l’ha colpita sei anni fa. S’è ritrovata a piangere i suoi 39 morti, ma anche a denunciare il fatto che ancora 80mila persone vivono fuori dalle proprie abitazioni e 15mila sono rifugiate in abitazioni di emergenza. Diecimila aquilani silenziosi e con una candela tra le mani, attraverso le vie deserte del centro, per ricordare la notte delle lacrime, quella del 6 aprile del 2009, ma soprattutto per richiamare l’attenzione della società italiana sul cono d’ombra che sta calando sulla ricostruzione. Come in tante analoghe tragedie italiane, il tempo che passa sembra diventare il peggior nemico. Nel senso, che tutti dimenticano e così se ne... fregano.
Il Presidente Renzi ha promesso che entro breve saranno disponibili 6 miliardi di euro per la ricostruzione, ma l’opposizione fa capire che su queste promesse non ci sono da imbastire grandi illusioni. Non sapendo a chi credere, limitiamoci ad un laconico: chi vivrà vedrà.
Sono stato recentemente e più volte nel capoluogo abruzzese per incontrare il mondo dell’informazione e gli studenti delle scuole. C’è un dato che mi ha colpito. Ogni volta che esortavo i ragazzi, anche i più piccoli, a non lasciarsi prendere dalla tentazione di emigrare altrove, cercando fortuna in luoghi più promettenti, si alzava spontaneo un applauso, che aveva il valore di un atto d’amore per la propria città e per la propria terra. Eppure la città, se dovessimo dirla in termini medici, è decisamente in prognosi riservata. Il sindaco, nei giorni scorsi, ha parlato di un 90% di lavori di ricostruzione già portato a compimento. Ma si tratta di uno spot pubblicitario. Comprensibile, ma pur sempre uno spot.
È vero che molte gru meccaniche svettano nei cieli ad indicare cantieri aperti... È vero che soprattutto nella parte che guarda a Nord i danni sono meno evidenti che in quella che guarda a Sud, ma basta una passeggiata in centro, dove l’odore acre di calcinacci impregna l’aria per rendersi conto di quanto resti da fare. Se poi si vuole fare la prova del nove basta entrare dentro agli edifici.
A fronte di qualche facciata, puntellata e resa decente, è la selva inestricabile di tubi per reggere le strutture che ti racconta la situazione meglio di ogni altra cosa. Tristissimo è poi lo scenario di chiese di incomparabile bellezza, ridotte a ruderi cadenti in attesa della Provvidenza.
Il fatto è che il terremoto de L’Aquila è stato prima sussultorio, poi ondulatorio, quindi rotatorio. Lunghissimi secondi che hanno strizzato la terra e quanto vi era sopra, come si strizza un panno tolto dal catino.
Voglio augurarmi che L’Aquila possa tornare a quello che era un tempo, anche se la ragione ha bisogno d’essere irrorata da molto ottimismo. Per ora qualche segnale positivo tende a farsi largo. Durante il mio soggiorno ho visitato la chiesa restaurata dove sta il corpo di San Bernardino da Siena. Un simbolo per la città e una vera e propria cattedrale, officiata dai frati minori francescani, di una bellezza incomparabile. Sarà inaugurata ufficialmente il 2 maggio, ma sarà certamente un simbolo di speranza per tutti. Se poi l’illustre ospite che lì riposa vorrà intercedere generosamente, la speranza è destinata a dilatarsi.
Per ora a incentivare il buon umore della gente del luogo è soprattutto l’adunata nazionale degli alpini, prevista per il 17 maggio prossimo. Un appuntamento che vedrà confluire 400mila penne nere da ogni parte d’Italia. Una iniezione di ottimismo, ma anche una singolare opportunità di indotto economico e di visibilità mediatica, giusto perché il resto del Paese non dimentichi le fatiche e le lacrime di questa gente.