Il valore di una adunata e le ostilità incomprensibili
Non c’è angolo d’Italia che non sia popolato di manifestazioni di ogni genere. Le chiamano sagre, eventi, concerti... Molto spesso l’obiettivo è quello di ragranellare qualche soldo. Qualche volta di farci anche l’affare. Del resto c’è tutto un mondo che vive di manifestazioni pubbliche. Dagli organizzatori dell’evento ai fornitori di transenne, dai chioschi di ristoro ai venditori di gadget, passando da mille altri servizi funzionali al buon esito dell’evento stesso...
Non c’è angolo d’Italia che non sia popolato di manifestazioni di ogni genere. Le chiamano sagre, eventi, concerti... Molto spesso l’obiettivo è quello di ragranellare qualche soldo. Qualche volta di farci anche l’affare. Del resto c’è tutto un mondo che vive di manifestazioni pubbliche. Dagli organizzatori dell’evento ai fornitori di transenne, dai chioschi di ristoro ai venditori di gadget, passando da mille altri servizi funzionali al buon esito dell’evento stesso.
Mastodontica sotto l’aspetto organizzativo come nessuna altra manifestazione, ma diversa da tutte nella sua essenza, c’è poi l’adunata degli alpini. Diversa già nel nome, con quel che di antico e di militaresco che evoca la parola adunata. Un tempo croce di ogni soldato di leva, quando la tromba ti buttava giù dal letto e dopo pochi minuti, rifatto il famoso cubo su cui avevi dormito, ti fiondavi nel piazzale della caserma, in ordine e inquadrato per salutare la bandiera e metterti a disposizione.
Oggi il richiamo dell’adunata non è più scandito da uno squillo di tromba, ma da un richiamo morale che ha i colori della fraternità, quella dello spirito di corpo, della voglia di fare festa e spartire un po’ di gioia, espressa anche in qualche calice di troppo, ma soprattutto negli abbracci di chi si ritrova dopo tanto tempo, nelle strette di mano delle nuove conoscenze, nei cori che popolano gli angoli della città e le fanfare che scandiscono il ritmo di chi si dà un metodo anche nell’incedere.
Ma un’adunata è diversa anche per altre ragioni più profonde. Per il volontariato che la allestisce, per la celerità con cui si ripristinano ordine e pulizia al suo termine, ma soprattutto perché dietro non c’è alcun interesse se non quello di mettersi a disposizione del Paese, in nome di quei valori che si dicono alpini, ma che affondano le radici nel Vangelo vissuto nelle famiglie di un tempo.
A Trento s’è appena conclusa un’adunata memorabile, voluta in quei luoghi che un secolo fa videro lo scontro tra le truppe italiane e quelle austriache. Un’occasione per ribadire la volontà di dare seguito a quello stile di pace che ha contrassegnato gli ultimi settant’anni di convivenza pacifica, grazie ad accordi politici e scambi culturali che hanno reso l’Europa un insieme più coeso, benché sempre sotto tiro da movimenti populisti che vorrebbero costruire le loro fortune predicando la disgregazione.
Ne abbiamo avuto qualche segnale anche nei giorni precedenti l’adunata. Attentati alle centraline dei treni, sassaiole contro le vetrine che esponevano i simboli alpini, occupazione della facoltà di sociologia da parte di anarchici, con scritte violente sopra i muri.
Ma chi può aver paura degli alpini, ci chiediamo? Il corpo di congedati più grande al mondo, nonché il più amato e stimato. Ma non per le feste che gli alpini sanno fare. Per la gratuità del loro impegno nel sociale. Dal Friuli al Centro Italia non c’è scenario che non li abbia visti protagonisti nelle grandi calamità, sempre pronti e disponibili, paghi di una penna sul cappello che svetta in cielo mentre tocca la terra.
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