Altro che mestiere e altro che amore
Se ne avete occasione, andate a vedervi la puntata di Presa Diretta del 5 settembre scorso. La potete trovare nei programmi di Rai Tre e scaricarla. Ero a Roma e stavo scrivendo un pezzo per il nostro settimanale su tutt'altro argomento, quando per caso, curioso si sapere il risultato della partita Israele-Italia, mi sono imbattuto nel programma citato.
Se ne avete occasione, andate a vedervi la puntata di Presa Diretta del 5 settembre scorso. La potete trovare nei programmi di Rai Tre e scaricarla. Ero a Roma e stavo scrivendo un pezzo per il nostro settimanale su tutt'altro argomento, quando per caso, curioso si sapere il risultato della partita Israele-Italia, mi sono imbattuto nel programma citato. Si parlava di prostituzione legalizzata ed era condotto da Riccardo Iacona, giornalista di sinistra, ma anche grande professionista di indiscussa onestà intellettuale.
Dico questo perché di solito siamo portati a credere che a sinistra, su questi argomenti di grande impatto etico, ci si muova con la manica larga, ossia con grande possibilismo. In realtà il programma è risultato talmente onesto e sconvolgente da farmi buttar via gli appunti scritti per ripiegare su queste considerazioni che vi propongo. Con l’unica speranza che dentro ai nostri gruppi parrocchiali, là dove si cerca di ragionare e far pensare genitori, giovani e adolescenti, si trovi il tempo per riflettere su un problema che sta infettando la società e non solo il destino di tante creature. Quelle che hanno avuto la sfortuna di nascere donna, incontrando sul loro percorso degli animali chiamati uomini.
Il filmato si presta poi magnificamente per la riflessione di quei politici che a fasi alterne propongono la legalizzazione, i quartieri a luci rosse, la pratica dentro casa... Tanto cosa c’è di più bello del far l’amore? E farlo col mestiere più antico del mondo? Così sono soliti dire, ammesso che sappiano quello che dicono.
Iacona ci ha portato sui fatti dentro la Germania, dove da tempo la prostituzione è stata legalizzata. Chi credesse che legalizzare significhi fine della schiavitù mi sappia dire. Tremilacinquecento bordelli, 400mila prostitute, un milione di clienti al giorno per un indotto di 14 miliardi l’anno, con un giro di ragazze, per lo più dell’Est, spinte dalla necessità di sfamare la famiglia al loro paese. Un mercato dove la concorrenza spietata domanda umiliazioni degne di un girone infernale. Ragazze disponibili a tutto, gestite da uomini senza scrupoli, che fuori attendono gli incassi delle loro schiave, incrementando una cultura maschilista disumana. Ragazze che devono riprendere a prostituirsi solo tre giorni dopo aver partorito una creatura, quando arriva per sbaglio. Disponibili ad ogni forma di abiezione perché il ricambio di carne fresca crea una competizione che rischia di metterle fuori gioco e senza alcuna fonte di reddito alternativa. Donne costrette a lavorare con lacerazioni e infezioni anche per sedici ore al giorno. Una schiavitù indegna di Paesi che vorrebbero considerarsi civili, in balia di maschi ai quali bastano trenta euro, trenta come i più famosi denari, per ridurre una donna a cosa, da usare e gettare.