Gli emigranti e la fraternità del benessere
Molte persone si sono fatte l’idea che papa Francesco chiami in Europa tutti i possibili emigranti. E sia lui il responsabile della loro invasione...
Molte persone si sono fatte l’idea che papa Francesco chiami in Europa tutti i possibili emigranti. E sia lui il responsabile della loro invasione. In realtà, mentre si schiera in difesa dei migranti che provengono da situazioni assurde di povertà o di guerra, proprio nella sua enciclica Fratelli tutti così si esprime: “Certo, l’ideale sarebbe evitare le migrazioni non necessarie e a tale scopo la strada è creare nei Paesi di origine la possibilità concreta di vivere e di crescere con dignità, così che si possano trovare lì le condizioni per il proprio sviluppo integrale” (Ft 129). Ma precisa che finché ciò non accadrà il nostro dovere è quello di “accoglierli, proteggerli, promuoverli e integrarli” (Ivi). E per quanti sono già inseriti nel nostro tessuto sociale da tempo, è importante farli partecipi della “cittadinanza” con diritti e doveri corrispondenti. A tale riguardo, occorre “una legislazione (governance) globale per le migrazioni” (Ft 132), finalizzata ad una effettiva integrazione. Ne conseguirebbe un reciproco arricchimento culturale. Facendo memoria del suo incontro con il grande imàn Ahmad Al-Tayyeb, papa Francesco ha ricordato che il “rapporto tra Occidente e Oriente è un’indiscutibile reciproca necessità” (Ft 136). Il materialismo occidentale potrebbe venir messo in discussione dalla cultura orientale. Le stesse differenze religiose potrebbero giovare alla cultura orientale (Cfr. Ivi). In ogni caso il progresso di un popolo diventerebbe un tesoro per tutta l’umanità. A tal fine però “abbiamo bisogno che un ordinamento mondiale giuridico, politico ed economico, incrementi e orienti la collaborazione internazionale verso lo sviluppo solidale di tutti i popoli… l’aiuto allo sviluppo dei Paesi poveri implica creazione di ricchezza per tutti” (Ft 138). Ma la caratteristica di ogni forma di accoglienza è la gratuità, secondo l’assioma evangelico: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,8). Spesso capita che l’immigrato sia visto come un usurpatore e un soggetto pericoloso. Eppure, la storia insegna che chiudersi nei nazionalismi è rischioso: “Bisogna guardare al globale, che ci riscatta dalla meschinità casalinga. Quando la casa non è più famiglia, ma è recinto, cella, il globale ci riscatta… la fraternità universale e l’amicizia sociale all’interno di ogni società sono due poli inseparabili e coessenziali” (Ft 142). Ovviamente non vi è contrasto insanabile tra universalismo e territorialità. Al contrario. Per essere aperti all’altro occorre conservare un grande amore per la propria terra, nella quale fare spazio di accoglienza per l’altro. E precisa: “L’universale non dev’essere il dominio omogeneo, uniforme e standardizzato di un’unica forma culturale imperante, che alla fine perderà i colori del poliedro” (Ft 144). Papa Francesco mette in allerta dai narcisismi localistici preoccupati di creare mura difensive (Cfr. Ft 146). Ed invita a confrontarsi nel dialogo con tutti, per poter attingere ricchezze culturali da tutti: “poiché le altre culture non sono nemici da cui bisogna difendersi, ma sono riflessi differenti della ricchezza inesauribile della vita umana” (Ft 147). Evidentemente, nel mettere in risalto l’importanza per ogni popolo di “custodire le proprie radici” (Ft 148), il Papa non condanna le forme di “meticciato” culturale, cioè di amalgama delle culture che si integrano e si arricchiscono nella reciprocità. Precisa poi il fatto che “la società mondiale non è il risultato della somma dei vari Paesi, ma piuttosto è la comunione stessa che esiste tra essi, è la reciproca inclusione” (Ft 149). Di conseguenza, “ogni persona sa di appartenere ad una famiglia più grande” (Ivi). E gli altri non sono avversari, ma “sono costitutivamente necessari per la costruzione di una vita piena” (Ft 150). L’obiettivo della globalizzazione è quello di fare dell’umanità “una famiglia di nazioni” (Ft 151). Fortunatamente, esiste ancora in alcuni il senso della prossimità, che impegna ad accompagnare e aiutare il vicino, senza paura e diffidenza (Cfr. Ft 152).
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