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Vado al massimo? No, è tempo di maggior equilibrio

Mi ha colpito il bell’editoriale dell’economista Luigino Bruni pubblicato su Avvenire del 30 dicembre scorso, dal titolo: “Il grido della Terra e dei poveri chiede segni e nuova profezia”. Nella precisa analisi del recente protagonismo dei giovani e degli adolescenti...

Parole chiave: Editoriale (407), Stefano Origano (141), Luigino Bruni (1), Avvenire (1)

Mi ha colpito il bell’editoriale dell’economista Luigino Bruni pubblicato su Avvenire del 30 dicembre scorso, dal titolo: “Il grido della Terra e dei poveri chiede segni e nuova profezia”. Nella precisa analisi del recente protagonismo dei giovani e degli adolescenti, che si riappropriano delle piazze per restituire loro lo spazio dove ritrovare nuovi legami e una fraternità attorno ai temi ambientali (disponibile su avvenire.it/opinioni/editoriali), mi ha sorpreso il modo in cui osserva il fenomeno della “massimizzazione”. “Mentre da una parte si annuncia, spesso sinceramente, una politica aziendale più attenta all’ambiente naturale e, qualche volta, anche all’inclusione sociale, parallelamente i lavoratori sono schiacciati da uno stile manageriale che chiede loro sempre più tempo, energie e vita, dove – anche grazie alle nuove tecnologie – è saltato ogni confine tra tempo di lavoro e tempo di non-lavoro, dove le imprese cercano e spesso ottengono il monopolio dell’anima della loro gente... Non basta rinunciare o smorzare la massimizzazione del profitto per essere sostenibili; anche se l’impresa decide di massimizzare altre variabili oltre al profitto, finché non libera spazio e tempo per i suoi lavoratori non sarà mai un ambito di vita davvero a misura di persona, amica della gente e della Terra”.
Se oggi è diventato più evidente che la massimizzazione del profitto costituisce un problema, rimane ancora nell’ombra il danno della massimizzazione quando viene applicata ad altre cose.
Ma allora è proprio il principio di massimizzazione che costituisce un’aporia, cioè una strada senza uscita? Stando alle riflessioni di Bruni, sembrerebbe proprio di sì. Per dirla con parole più povere: quando si tira troppo la corda, finisce che si rompe. Passando all’ambito più esistenziale: il mito “Vado al massimo” di Vasco Rossi alla fine tradisce perché non si può vivere con il piede sull’acceleratore sempre a tavoletta. La via d’uscita indicata dal nostro esperto è quella della sostenibilità in tutte le declinazioni e in tutti gli ambiti. Non ci sarà dunque “sostenibilità ambientale, senza una sostenibilità relazionale profondamente legata alla sostenibilità spirituale delle persone – conclude Bruni ­–, perché  lo spirito vive solo se riesce a salvare luoghi di libertà e di gratuità ‘non massimizzati’”. È evidente il riferimento alla Laudato si’ di papa Francesco.
In linea generale condivido tutto perché le risorse sono limitate e il benessere non è solo quello economico. Ma mi rimane un punto su cui non trovo una risposta definitiva: qual è il giusto equilibrio perché un’impresa continui a crescere ed innovare e quindi affrontare le sfide del mercato globale... e contemporaneamente rispettare certi limiti a salvaguardia del benessere dei lavoratori garantendo loro un futuro di occupazione e prospettive di stabilità economica? Massimizzare il profitto è sbagliato, ma non si può farne a meno (del profitto). Ricordiamo che le aziende non sono entità astratte, ma come corpi viventi in cui i lavoratori costituiscono un elemento qualificante e identitario. Immagino che la questione sia in continua evoluzione e non ci sia una ricetta universale e risolutiva.
In primavera il Papa ha convocato ad Assisi i giovani da tutto il mondo per  approfondire con loro questo e altri temi di economia. Spero che ci aiutino a capire i grandi cambiamenti in atto e a trovare le categorie giuste per interpretare questa nuova primavera, i cui segnali sono ancora deboli, talora equivoci, ma interessantissimi perché spingono alla fiducia e alla ricerca di una nuova Terra promessa dove ci sia finalmente spazio per tutti.

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