Editoriale
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Perché Qualcuno alla fine ha voluto così

Un’immagine ricorrente per descrivere l’attuale situazione é quella del conflitto bellico. Premesso che solo gli 80enni e oltre possono avere almeno un vago ricordo di una guerra in senso classico, oggi il richiamo si fa più frequente e diretto: si esprime in questi termini, per esempio, il sindaco Federico Sboarina quando è chiamato a commentare i numeri della pandemia nella città scaligera...

Parole chiave: Editoriale (407), Stefano Origano (141)

Un’immagine ricorrente per descrivere l’attuale situazione é quella del conflitto bellico. Premesso che solo gli 80enni e oltre possono avere almeno un vago ricordo di una guerra in senso classico, oggi il richiamo si fa più frequente e diretto: si esprime in questi termini, per esempio, il sindaco Federico Sboarina quando è chiamato a commentare i numeri della pandemia nella città scaligera. Le vittime del virus, la crisi economica, il crollo del mondo del lavoro, le conseguenze psicologiche e sociali sulle nuove generazioni, il crescente dilagare della povertà hanno proporzioni tali che il riferimento all’immaginario di una guerra non è per nulla peregrino.
Siamo come in guerra, è pacifico. Ma c’è anche un altro aspetto dell’essere in guerra che ci riguarda: si tratta del fatto che, durante un conflitto bellico, si sospende la normale applicazione delle leggi ordinarie e si applica la legge marziale. Ciò significa limitazioni pesanti delle libertà individuali. Abbiamo riscoperto così il coprifuoco che finora avevamo visto solo nei film. Mancano ancora le sirene e la corsa nei rifugi, ma poco ci manca.
Ricordo una considerazione che faceva mio nonno, che sul campo di battaglia c’era stato per davvero sul Monte Grappa nella Prima Guerra mondiale, sul fatto che in guerra cambiano tutti i rapporti interpersonali e si modifica perfino la natura interiore delle persone: «Se vuoi avere qualche chance di portare a casa la pelle durante la battaglia, devi dimenticare i sentimenti cristiani. O meglio: puoi portarli al massimo e allora fai il martire, ma se non hai la vocazione al martirio speri solamente di non morire e allora non devi aver scrupolo di calpestare il corpo di un compagno che cade davanti a te in combattimento. E se ti fermi a tendere la mano ad un compagno che chiede soccorso, sappi che sei finito: per salvarsi, lui non si farà scrupolo di passare sopra il tuo corpo». Mio nonno naturalmente esprimeva questi concetti usando altre immagini, molto meno profumate...
Sentire queste cose dalla bocca di chi consideravo un punto di riferimento morale, un uomo che nella vita normale non avrebbe mai fatto del male al prossimo, mi ha sempre lasciato “disarmato” nei miei convincimenti. L’unico conforto era che lo diceva con le lacrime agli occhi, ancora dopo tanti anni, sentendo tutto il peso di questa triste verità.
Un altro aspetto della guerra mi colpiva in quei racconti: «Quando si parte alla carica, bisogna ripararsi dal fuoco avversario davanti, ma non meno dal fuoco amico alle spalle. Occorre poi guardarsi dal fuoco che viene dal cielo e da quello che si nasconde in basso, sotto una lieve coltre di terreno. Cioè non esistono più amici e nemici, devi difenderti da tutti. Se ne vieni fuori, non è perché sei stato più bravo degli altri, ma perché Qualcuno ha voluto così».
Senza scomodare i nostri nonni e bisnonni, basterebbe ascoltare le testimonianze di coloro che sono scampati dagli innumerevoli conflitti di quella che papa Francesco ha definito la Terza Guerra Mondiale a pezzi, per renderci conto che le analogie ci possono stare, ma rimangono tali e le persone che invece portano anche oggi le ferite esterne ed interne della guerra vera ci ricordano che noi non siamo più bravi di loro, né semplicemente più fortunati, ma è perché Qualcuno ha voluto così. E se lo ha voluto, ci sarà anche una ragione!

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