L’umorismo e la spiritualità
La storia di tante eresie è in buona misura la storia della perdita del senso dell’umorismo»: così affermò padre Gian Paolo Salvini (1936-2021), ex direttore di Civiltà Cattolica, nella cerimonia dell’emeritato presso la Pontificia accademia Lateranense...
La storia di tante eresie è in buona misura la storia della perdita del senso dell’umorismo»: così affermò padre Gian Paolo Salvini (1936-2021), ex direttore di Civiltà Cattolica, nella cerimonia dell’emeritato presso la Pontificia accademia Lateranense (8 maggio 2017). A suo dire, l’umorismo è una caratteristica di Dio e un elemento che contraddistingue i santi perché appartiene a chi è interiormente libero, a chi ha fatto pace con le proprie debolezze, che vede con lo sguardo del Signore, ha demitizzato sé stesso e gli altri. Il gesuita propose in quell’occasione l’umorismo come «elemento prezioso per una vita sana ed equilibrata anche dal punto di vista spirituale», perché è antidoto ad ogni paura e apre al gratuito e a una intelligente creatività. Oggi più che mai abbiamo anche noi bisogno di recuperare il dono e il senso dell’umorismo, che del resto non è un fuggire dalla storia concreta, con le sue contraddizioni. A stimolare questa riflessione è il sessantesimo anniversario della morte di C. S. Lewis (22 novembre 1963), considerato come uno dei padri del fantasy, ma anche un fine teologo. Tutte le sue opere, infatti, parlano dell’umano e del divino, utilizzando l’ingrediente sublime dell’ironia. Senza di esso non si possono cogliere la profondità de Le cronache di Narnia e il suo modo di richiamare l’umanità alla comunione, in una modalità che rimane molto lontana dalla disperazione o dai “toni da crociata”. Questo è lo stile che usa per spronare a recuperare il concetto del peccato, ne Le lettere di Berlicche (uscite per la prima volta nel 1942), corrispondenza piuttosto bizzarra tra un esperto funzionario di Satana e un apprendista “diavolo custode”; e per chiamare alla conversione ne Il grande divorzio (1945), con il viaggio che l’autore fa (e invita a fare) dall’inferno, fondato sull’ideologia “Io sono mio”, al paradiso dove le persone, uscite da sé stesse, sono consistenti e perfettamente inserite nell’ambiente. Don Giovanni Calabria ebbe una lunga corrispondenza epistolare con Lewis e, di certo, non possiamo cogliere il santo veronese senza il senso dell’umorismo, che lo ha portato, da piccolo servo della divina Provvidenza, a “guardare al mondo come se fosse cosparso di perle preziose”.
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